ROMAFF10: FRANK SINATRA, IL GRANDE GATSBY DEL JAZZ

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Sinatra: All or Nothing at All, documentario firmato da Alex Gibney e realizzato per la HBO, indaga la figura enigmatica e misteriosa di Frank Sinatra, partendo dal suo ritiro dalle scene, per ricostruire a ritroso la vita umana ed artistica del più grande crooner d’America

Il più approfondito e intrigante ritratto su Frank Sinatra lo realizzò Gay Talese, nel 1966, per Esquire. Con quell’articolo, Frank Sinatra Has A Cold, non solo il reporter diede ufficialmente inizio al New Journalism, ma realizzò un piccolo miracolo giornalistico. Senza mai intervistare l’artista o nessuno dei suoi collaboratori, Talese, osservando da lontano The Voice, riuscì a fotografare ed immortalare un preciso momento della vita del cantante, quello relativo alle speculazioni della stampa circa i suoi rapporti con la Mafia e la sua relazione con la giovanissima Mia Farrow. A quasi cinquant’anni di distanza da quell’articolo che cambiò il profilo del giornalismo moderno ed a cento dalla nascita del cantante, Alex Gibney, regista premio Oscar per Taxi to the Dark Side, replica il miracolo con Sinatra: All or Nothing at All, documentario diviso in due parti realizzato per la HBO e presentato alla Festa del Cinema di Roma.

Frank SinatraCircoscritto temporalmente ad un preciso momento della vita del cantante, il suo ritiro dalle scene celebrato con il concerto del 1971 a Los Angeles, il documentario, utilizza proprio la scaletta dei brani che compongono il suo congedo musicale come filo rosso con il quale il regista ricostruisce a ritroso la vita umana ed artistica del più grande crooner d’America. «Avevamo a disposizione una mole di materiali sterminata ma non volevamo tirare giù un elenco sulla sua vita in stile Wikipedia. Così, abbiamo deciso di utilizzare i brani come se fossero capitoli. Il documentario poi è anche una specie di giallo. Ci siamo chiesti perché si fosse voluto ritirare e perché avesse scelto quelle canzoni. Nel documentario abbiamo messo degli indizi che possono aiutare a fare luce. Sono gli anni della morte del padre, del suo non sentirsi più allineato con la cultura americana e dei suoi flop discografici. Inoltre era stanco. Veniva da anni nei quali non si era mai fermato e credo che questi siano i fattori che influenzarono la sua decisione » ha esordito il regista durante la conferenza stampa. Gibney, recentemente sotto il mirino di Scientology per il suo documentario, Going Clear e la prigione della fede, nel quale cerca di fare luce sul complesso ed ombroso dietro le quinte che caratterizza il culto fondato negli anni ’50 da L. Ron Hubbard, non si limita a mostrare al pubblico aspetti inediti della vita di Frank Sinatra ma, attraverso la sua figura, racconta anche l’America e la sua evoluzione. «Ho visto Sinatra e la sua vita come quella del Grande Gatsby. Dall’infanzia povera, alla guerra negli anni ’40, passando per la Depressione e il decennio del 1960 caratterizzato dal suo sentirsi tagliato fuori da quella nuova generazione. Abbiamo voluto sottolineare come la sua vita sia stata quella stessa dell’America, senza sottrarci a temi che certe volte non vengono raccontati, come nel caso del suo rapporto con la Mafia o la sua battaglia contro la discriminazione razziale dalla quale si sentiva offeso e che toccava anche suoi colleghi come Billie Holiday. Diciamo che con il documentario abbiamo raccontato il sogno americano ma anche i suoi lati oscuri ».

Frank SinatraUn materiale d’archivio vastissimo, fatto di ricordi di amici e familiari, foto, filmini, e registrazioni audio della voce stessa del cantante con il quale Gibney lascia che sia proprio lui a raccontare la sua storia. «Abbiamo trovato delle cose strepitose. Oltre dieci ore di audio su cassetta di Sinatra che parla da solo. Per questo abbiamo deciso di non inserire interviste fatte con la telecamera ma affidarci alle voci audio sulle quali, in certi casi, siamo dovuti intervenire per restaurare delle parti danneggiate. L’abbiamo fatto perché così saremmo restati più sulla storia, mantenendo il ritmo ». Così tanto materiale e così tante storie da raccontare. Dagli amori, numerosi e burrascosi, che l’hanno visto legato a nomi celebri come la già citata Farrow o Ava Garden, alle sue posizioni politiche, passando per le amicizie poco raccomandabili al successo mondiale, il tutto accompagnato dalle note di The Lady is a Tramp, Fly Me to The Moon o I’ve Got You Under My Skin, ma sopratutto dall’occhio vigile della famiglia Sinatra, che, come racconta lo stesso regista, «Il rapporto con la famiglia è stato appassionato tanto quello di Sinatra stesso. Un forte amore ma anche qualche conflitto. Proprio Nancy ci ha parlato del video realizzato per l’ ultimo concerto di Sinatra e di come sia stato deciso all’ultimo con l’ausilio di sole quattro cineprese. Un materiale video che abbiamo dovuto restaurare. Inoltre ho avuto modo di parlare con la sua prima moglie, una donna straordinaria e piena di vita, e di avere accesso completo all’archivio, sebbene la famiglia avesse un’opinione precisa di come trattare certi temi senza mai però porci nessun veto ».

Sinatra: All or Nothing at All celebra l’artista, ripercorrendo la sua vita umana e professionale, senza aver timore di far affiorare tutte le contraddizioni che l’hanno reso una delle figure più iconiche del XX secolo, permettendo così anche alle generazioni venute dopo di lui di poter conoscere da vicino le luci e le ombre di un genio capace di segnare un’epoca. «Ai tempi dell’università per me non era altro che un vecchio che andava a braccetto con Nixon e Regan. Questo film è stato formativo. Ho scoperto la sua grandezza artistica, il suo studio sulla voce ed il fraseggio che lo aiutavano a capire come raccontare una storia senza doversi preoccupare della respirazione. Questo spiega il suo potere ».

Manuela Santacatterina