“ROOM”: TUTTO IL MONDO IN UNA STANZA

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Presentato alla Festa del Cinema di Roma, Room, il nuovo film del regista irlandese Lenny Abrahamson basato sull’omonimo libro della scrittrice Emma Donogue, presente nella pellicola nella veste di sceneggiatrice

Room «Buongiorno Sedia. Buongiorno Lucernaio. Buongiorno Armadio. Buongiorno Pianta ». Il piccolo Jack (Jacob Tremblay), cinque anni appena compiuti, ogni mattina si alza e saluta tutto quello che vede nella sua stanza, convinto che il mondo sia tutto lì, racchiuso tra quattro mura. Lenny Abrahamson è il protagonista di questa seconda giornata della Festa del Cinema di Roma con il suo Room, film basato sull’omonimo libro, del 2010, scritto da Emma Donogue, nonché sceneggiatrice della pellicola, ed ispirato alla vera storia dell’austriaca Elizabeth Fritzl, rinchiusa in casa per ventiquattro anni dal padre carceriere, al centro della cronaca mondiale all’indomani della sua liberazione. Al posto della Fritzl però troviamo Mà (Brie Larson), una giovane donna di ventiquattro anni che da sette vive segregata in un capanno dopo essere stata rapita da Old Nick (Sean Bridgers), un uomo che, con una scusa qualunque, l’ha avvicinata mentre tornava a casa da scuola, per inghiottirla nel buio di quelle pareti che ha dovuto accettare come “casa”. L’unico motivo che la spinge ad aprire gli occhi, giorno dopo giorno, è Jack, il bambino nato dagli abusi reiterati del suo carceriere ma che lei considera solo suo, amandolo e proteggendolo dal dolore della consapevolezza, raccontandogli di come tutto il mondo sia solo in quella stanza. Solo loro sono reali, il mare, gli alberi, le persone stesse invece non esistono e quello che il piccolo Jack vede in tv è un’illusione. Proprio il compleanno del bambino smuove in Mà qualcosa che la porta ad organizzare la fuga del figlio, ingannando Old Nick e aprendo ai due la strada per la libertà. Quello che viene dopo è un susseguirsi di emozioni contrastanti, vissute tra l’ossessione della stampa, morbosamente curiosa di conoscere i retroscena di quella segregazione, ed i tentativi di Joe – il vero nome di Mà- di confrontarsi con il reale.

RoomDopo il successo ottenuto con Frank, la pellicola musicale on the road con protagonista un Michael Fassbender nascosto sotto un’enorme maschera di cartapesta dalle sembianza di Frank Sidebottom, alter ego del musicista e comico inglese Chris Sievey, con il quale il regista trattava in un modo delicato ed ironico il tema della depressione e criticava l’attuale società ossessionata dalla popolarità usa e getta scaturita dall’era “social” (in Room critica l’atteggiamento ossessivo e persecutorio dei mass media), Lenny Abrahamson è tornato con un film capace di dimostrare, ancora una volta, il grande talento dell’irlandese energico e timido. E non è un caso quindi che alla première mondiale di Room, al Tellirude Film Festival, la pellicola abbia suscitato nel pubblico reazioni entusiastiche per poi venir premiato con il People’s Choice Award a Toronto. Come nel film precedente, il regista gioca con l’alternanza dei colori, sfumature cromatiche capaci di riportare inconsciamente in chi guarda il senso delle emozioni provate dai suoi due protagonisti, seguiti, nello spazio circoscritto del capanno, da una camera a mano che alterna soggettive e primi piani ristretti, inquadrando dettagli della loro inusuale quotidianità. Per sottolineare ancora di più il contrasto tra la condizione di prigionia ed il rapporto, tenero e complice, di madre e figlio Abrahamson usa le musiche composte da Stephen Rennicks, già autore della colonna sonora di Frank, contraddistinte da un’atmosfera giocosa, quasi magica, in netta contrapposizione con la chiusura, mentale e fisica, alla quale sono confinati. Diviso, proprio come nella pellicola precedente, in due sezioni narrative e geografiche differenti, Room, mantiene per l’intera durata del film una tensione costante, coinvolgendo lo spettatore emozionalmente senza mai ricattarlo. Merito non solo dell’ottima regia e di una sceneggiatura centrata, ma anche di Brie Larson che, dopo la già eccellente prova dell’inedito Short Term 12, ha finalmente attirato l’attenzione della stampa mondiale con una prova che la farà sicuramente accedere alla rosa delle candidate per l’ambita statuetta dorata, e del giovanissimo Jacob Tremblay. Una coppia capace di restituire la forza di un legame madre/figlio, amplificato da quella segregazione. Emotivamente forte la sequenze, in soggettiva, nella quale il piccolo Jack si ritrova per la prima volta all’aperto, sdraiato a pancia in su nella parte posteriore di un pick up, vede il cielo. Un’ enorme cielo azzurro che gli toglie il fiato e a noi con lui.

Manuela Santacatterina