RUGGERO DEODATO: L’INTERVISTA A MONSIEUR CANNIBAL

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In occasione della proiezione di The Green Inferno al cinema Mexico di Milano abbiamo incontrato il mitico regista di Cannibal Holocaust, capostipite del genere cannibal, che ci ha raccontato la sua amicizia con Eli Roth, il suo prossimo film Il giorno dopo e quelle notti fianco a fianco con Rossellini…

Il 14 marzo al cinema Mexico di Milano, è stato proiettato The Green Inferno, che rientra nei terrificanti lunedì horror firmati Midnight Factory. In quest’occasione abbiamo incontrato Monsieur Cannibal in persona, Ruggero Deodato, presente in sala per un saluto al pubblico. Il regista romano, vera e propria fonte di ispirazione per Eli Roth, rappresenta il capostipite del genere cannibal che trova nel suo Cannibal Holocaust il più grande e famoso esponente. Ancora oggi è considerato, infatti, uno dei più agghiaccianti e controversi film della storia della Settima Arte. Tra una risata e un aneddoto Deodato ci ha parlato della sua visione del cinema, dagli esordi come aiuto regista di Rossellini passando per il suo capolavoro, Cannibal Holocaust, sino alle fiction e alla sua ultima opera, Il giorno dopo, che ha da poco finito di girare.

Ecco cosa ci ha raccontato!

The Green Inferno
The Green Inferno

Cosa ne pensa del film di Eli Roth, The Green Inferno?
Sono molto amico di Eli Roth. In Hostel 2 mi ha fatto fare il più bel cameo della mia vita, e ne ho fatti tanti. Quello è proprio al bacio. Quando ho saputo che sarebbe uscito The Green Inferno mi ero un po’ arrabbiato perché non mi aveva avvisato che avrebbe fatto un film sul cannibalismo. Poi all’ultimo momento mi ha chiamato, sono andato all’anteprima alla Festa del cinema di Roma e ho letto in entrata un cartello: “Per Ruggero”. Ho pianto. Non voglio dire che il film è ben girato perché secondo me è un’affermazione che non significa nulla. Posso invece dire che ho trovato la giungla davvero bellissima e lui e gli attori molto bravi. Inizialmente pensavo di trovarmi difronte a un nuovo Cannibal Holocaust, e invece vi ho ritrovato molti più elementi di Ultimo mondo cannibale. Ho visto nell’opera di Roth però anche delle storture rispetto alla realtà, delle “tarantinate” quasi. Differenti rispetto al mio cinema e alla mia ricerca di verità sono anche gli aborigeni, più macchiette che veri cannibali, un po’ come quelli di Apocalypto di Mel Gibson. Comunque rimane davvero un buon film.

Com’è nata l’idea di girare dei film sul cannibalismo, dando inizio anche ad un vero e proprio genere cinematografico? È nato tutto grazie al National Geographic. Un produttore mi aveva chiesto di partire per la Malesia per realizzare un film sul cannibalismo, così sono andato a comprare una copia della rivista e all’interno c’erano delle pagine straordinarie su questi indios più simili a uomini preistorici. Mi sono innamorato di quelle foto e quei paesaggi, poi sono un avventuroso di natura, quindi accettai immediatamente.

Ultimo mondo cannibale
Ultimo mondo cannibale

Quali sono secondo lei le differenze nel girare un film come Ultimo mondo cannibale, primo cannibal movie, negli anni Settanta rispetto ad oggi?
Ultimo mondo cannibale è stato uno dei film più faticosi che ho fatto. I primi giorni la troupe mi voleva uccidere, poi si sono ambientati. Quando ho visto il film di Eli Roth, le riprese della giungla dall’alto, ho pensato “Che fortuna! Adesso, prendono un drone e il gioco è fatto”. Noi per fare una semplice salitella ci abbiamo impiegato sei ore. Un’altra differenza è sicuramente quella tra le vecchie macchine da presa e le nuove tecnologia. All’epoca non c’erano telefonini quindi non potevo raccontare il cannibalismo come ha fatto Roth nel suo The Green Inferno.

Cannibal Holocaust
Cannibal Holocaust

Come mai Ultimo mondo cannibale è stato difficile da girare?
I miei colleghi che giravano in Malesia andavano al parco nazionale di Kuala Lumpur, io e l’aiuto regista invece abbiamo preso un piccolo aereo e siamo andati nella giungla, quella vera. Vedendo quel paradiso decisi di girare proprio lì, accanto ai veri cannibali. Erano diciotto in tutto e c’era un ranger a sorvegliare sia noi che loro. Ricordo che mettevamo i pacchetti di sigarette a 150 metri e loro li centravano facilmente con le cerbottane. Erano straordinari. Gli aborigeni poi non avevano linguaggio o gestualità, emettevano solo dei suoni e per farli muovere mentre riprendevo ero costretto ad imitarli. Nel ’76 raccontavo cose che la gente non conosceva. Ora i turisti riescono ad andare ovunque, non vi è più verginità di location, invece all’epoca era un terreno inesplorato. Dopo parecchi anni decisi di girare Cannibal Holocaust in Amazzonia e non dico di averlo fatto con la mano sinistra, ma quasi. Mi inventavo ogni giorno qualcosa. Chiamavo lo scenografo e dicevo “Domani impaliamo la ragazzina? Come si può fare?”. È stato tutto molto più facile rispetto a Ultimo mondo cannibale.

Ci può raccontare qualcosa del suo ultimo film, Il giorno dopo?
Sbagliando ho fatto un bel film. Anzi, un ottimo film. Proprio l’altro giorno ho finito il mixage. Per la prima volta ci ho impiegato molto tempo per girare un’opera, sono passati tre anni da quando mi è venuta l’idea. Purtroppo i produttori in quel momento non avevano soldi e io non avevo punteggio per accedere alle sovvenzioni ministeriali. Ci sono state una serie di fortune nella sfortuna, che mi hanno rallentato e permesso di fare quello che credo essere il mio miglior film dopo Cannibal Holocaust. Il giorno dopo è un thriller, per scriverlo mi sono rifatto alla cronaca, al delitto di Perugia. Ci ho messo tre settimane e due giorni per girarlo. La troupe poi è stata fantastica, hanno lavorato con me quasi gratis, mi chiamavano Maestro, cercavano di fare qualsiasi cosa chiedessi. Ho realizzato Il giorno dopo con le mani, come un artigiano. Forse inizierò a firmare autografi per questo!

Quando potremo vederlo?
La versione in inglese è pronta, ed è perfetta. Tra poco inizierò a girare il mondo portando il film a vari festival: Mosca, Ottawa, ma prima sarò ospite a Lucca insieme a Romero e Friedkin. Stavolta mi voglio misurare con i registi spagnoli e francesi, che sono davvero bravi in questo genere.

Le piace abbracciare tutti i generi quindi…
Sì, ho girato anche un film strappalacrime, L’ultimo sapore dell’aria, che ha avuto un enorme successo in Giappone. Vendevano addirittura il biglietto con il fazzolettino per asciugare le lacrime

Noi siamo angeli
“Noi siamo angeli”, fiction diretta da Deodato con Bud Spencer

Lei è anche un regista di fiction. Qual è la differenza tra girare una serie televisiva e un film?
Io ho cercato di abbracciare tutto. Perché? Perché amo talmente tanto la macchina da presa da voler sempre lavorare. La differenza sostanziale è la libertà che ti dà il cinema rispetto alla fiction. In Il giorno dopo, ad esempio, ho scelto il cast senza nessun vincolo, invece nella televisione solitamente ti arriva un elenco con amici, amanti, mariti, mogli… Anche nel mondo della fiction però ho sempre cercato l’avventura. Sono stato in Africa, in Costarica e nelle Canarie.

Ha iniziato come aiuto regista. Come è avvenuto il salto alla regia vera e propria?
Questa è una storia particolare. Ho fatto l’aiuto regista in 60 film. Succede che inizi con Rossellini, poi passi a Bolognini, Castellari poi però scendi fino ai registi di serie C e D, perché più diventi bravo più sei ricercato per aiutare i somari. A un certo punto diventi tu il regista. All’epoca ero in Inghilterra e mi avevano proposto di affiancare Steno nel suo film. Erano gli anni dei Beatles, avevo i capelli lunghi e portavo camicie fiorate e Steno per questo non mi prese. Così il produttore mi ha detto “Vabbè firmami un contratto per due film come regista”. Il primo era Donne… botte e bersaglieri con Little Tony. Allora andai subito da Bolognini e gli dissi: “Mauro che faccio?” . Ero preoccupato perché avendo lavorato con grandi autori tutti si aspettavano un film più impegnato. Lui rispose “Fallo Ruggero, io ho debuttato con Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo”. E così ho esordito.

Ruggero Deodato
Deodato nel cameo in “Hostel 2” diretto da Eli Roth

Un momento durante la sua carriera che ricorda con particolare piacere?
Di momenti ce ne sono tantissimi. Uno risale a quando facevo l’aiuto regista di Rossellini. Era il 17 gennaio del Settanta ed era il primo giorno di riprese di Era notte a Roma. Io ero un ragazzino. Il cast era formato da attori del calibro Giovanna Ralli, Sergei Bondarchuk, Hannes Messemer, Peter Baldwin. E c’era anche Leo Genn. Lui durante l’ora di pausa tirò fuori la scacchiera e mi chiese se sapessi giocare. “Sì” ho risposto, e da quel giorno Genn si attaccò a me. Durante le nostre partite mi ha parlato di cose che da ragazzo non riesci ad apprezzare veramente. Mi ha raccontato anche che oltre alla nomination all’Oscar è stato giurato al processo di Norimberga. Questo è sempre stato un bel ricordo.

Progetti futuri?
Ho per le mani una storia che avrei voluto girare trent’anni fa. La sceneggiatura però è troppo classica per i miei gusti, quindi ho chiesto se potevo adattarla, altrimenti non avrei accettato. Deve diventare un film di Deodato e lo dico senza presunzione. Se non lo sento mio non ha senso. Ho già iniziato a scrivere!

Registi e film che ha nel cuore?
Io sono un allievo di Roberto Rossellini. Il realismo secondo me è la forma di cinema più bella. Quando ho visto Germaia anno zero ho detto “Ah che bello, che angoscia, che filmone”. Al momento trovo eccezionale Ridley Scott, magari avessi girato un film come I duellanti. Rocco e i suoi fratelli è un capolavoro, una vera e propria tragedia greca, come solo Visconti sapeva fare. A mia figlia ora voglio far vedere Miracolo a Milano, lo trovo stupendo. E poi mi è piaciuto molto Birdman!

Rudy Ciligot