THE FALL

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su Sky Atlantic dal 3 dicembre

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The Fall: Gillian Anderson

Thriller, crime, poliziesco, in una parola giallo: resta stabilmente il genere più amato e più praticato, anche dalla nostra scarsamente innovativa televisione. Il modello classico e vincente è quello di creare una squadra investigativa con proprie specifiche dinamiche interne, in modo tale che, parallelamente ai casi che si affrontano in ogni episodio, si crei un legame emotivo con i singoli personaggi. Quando una nuova serie si affaccia alla ribalta, la vera questione è perciò se e quanto riesca a proporre elementi imprevisti e suggestivi per variare uno schema estremamente rigido. The Fall, nuova serie di BBC2 in cinque episodi accolta molto bene in patria (da febbraio iniziano le riprese della seconda stagione) con protagonista una rigenerata (dieta ferrea più una buona dose di botox) Gillian Anderson, la mai dimenticata Scully di X-Files, rappresenta certamente un buon esempio di variazione intelligente nel rispetto della classicità. L’incipit è da manuale: una giovane e bella professionista è stata strangolata in casa sua, la polizia brancola nel buio e i giornali sparano titoli accusatori, così da Londra arriva la brillante sovrintendente Stella Gibson (Anderson), che viviseziona l’iter investigativo e arriva a collegare l’omicidio con un altro precedente e ugualmente irrisolto, intuendo che il colpevole è un killer seriale, che mette in scena ogni volta un rituale sadico e maschilista. Il primo elemento vincente di The Fall è la scelta della location, Belfast, una città dilaniata da un conflitto perenne, che funziona perfettamente per creare, grazie ad una fotografia opaca e ad una prevalenza di scene notturne, un senso generale di inquietudine e di tensione. Ma ciò che rende veramente la serie interessante è un azzardo, che infrange una delle regole base del genere: svelare fin dalle prime scene l’identità del serial killer. Non solo: pur tenendo desta l’attenzione dello spettatore, con indagini e rivelazioni, sceglie di usare come vero filo conduttore le due vite, contrapposte e speculari, di Stella e di Paul Spector, l’assassino (interpretato da Jamie Doran, a febbraio sul grande schermo come protagonista di 50 sfumature di grigio). Vite impreviste, che creano empatia con i due personaggi. Stella, infatti, si rivela arrogante, sgradevole, asociale e incurante di ogni regola, tanto che ferma l’auto dei poliziotti che l’accompagnano in albergo, per farsi presentare un aitante sergente, offrendogli, come saluto, il numero della sua stanza. Paul, al contrario, è un giovane uomo sposato, padre affettuoso di due bambini e perfino con un lavoro socialmente utile, capace di gestire con grande autocontrollo la sua esistenza normale e il suo doppio assassino. Una conferma che, più della scena del crimine e di un’indagine accurata, è il fattore umano, l’oscurità e l’ambiguità, a fare un buon thriller.

Stefano Lusardi