VENEZIA 72: IL CONCORSO DI OGGI CON “A BIGGER SPLASH”, “EL CLAN” E “L’HERMINE”

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 CIAK IN MOSTRA: IL BELLO DI… A BIGGER SPLASH, EL CLAN E L’HERMINELogo Ciak In Mostra

 DI MASSIMO LASTRUCCI

A BIGGER SPLASH

Luca Guadagnino, Tilda Swinton e Ralph Fiennes
Luca Guadagnino, Tilda Swinton e Ralph Fiennes

LA COSA BELLA DI A Bigger Splash è l’eleganza. Quella dell’occhio colto e sofisticato di Luca Guadagnino, autore che si è guadagnato con Io sono l’amore (2009) massimi consensi (anche all’estero) assieme a qualche alzata di sopracciglio. Adorato o detestato, anche A Bigger Splash non farà che aggiungere benzina alla polemica. Con alla base un noir di Deray – ricordate La piscina con Alain Delon? – e un capolavoro della pop art dal titolo omonimo firmato David Hockney, il film infioretta di enigmi e sottili inquietudini i rapporti complicati tra Tilda Swinton, rockstar convalescente dopo un’operazione alle stremate corde vocali che la obbliga al mutismo o all’afonia, il suo attuale compagno Matthias Schoenhaerts, fotografo apparentemente posato ma con belle cicatrici nel passato, e l’esuberante, egocentrico e provocatorio Ralph Fiennes, produttore discografico ed ex della cantante, piombato a Pantelleria con la appena scoperta figlia Dakota Johnson, con più di una recondita intenzione. Al gran sole del Sud, un melodramma ghiacciato che sfotte i radical chic e che vira nella seconda parte sul dramma (criminale), tra gastronomia, laghetti peccaminosi e la musica dei Rolling Stones. Più ovviamente l’azzurra, fondamentale e metafisica piscina.

EL CLAN

El clanLA COSA BELLA DI El Clan è il realismo del noir metropolitano. Che il regista argentino Pablo Trapero (ammirato a Venezia e Cannes negli anni scorsi con Mondo Grua e La Leonera) rinvigorisce espressivamente con certi rimandi all’estetica scorsesiana (isteria + rock + violenza metropolitana). Ma El Clan è realistico anche perché – più prosaicamente – è tratto da una vicenda tanto vera quanto incredibile (almeno ai nostri occhi europei). Negli anni ’80, mentre la dittatura dei colonnelli è agli sgoccioli e il paese conosce il primo ritorno alle regole democratiche, a Buenos Aires opera Arquimedes Puccio che utilizza anche i familiari per una impunita serie di sequestri di facoltosi a scopo riscatto. In particolare il più coinvolto è il primogenito Alejandro, una promessa del rugby arrivato sino alla nazionale, che subisce l’autoritarismo astutamente maligno del padre (a sua volta protetto dai servizi segreti). Criminalità, violenza e soprusi all’interno di una realtà di apparente decoro e tranquillità borghese. Un robusto gangster movie che accresce la sua tensione scena dopo scena.

L’HERMINE

L'HermineLA COSA BELLA DI L’Hermine è – ovviamente – Fabrice Luchini, architrave lepida e levigata su cui poggia una commedia in doppio binario. L’Hermine di Christian Vincent (La timida, La cuoca del presidente) tratta della metamorfosi emotiva di un Presidente di Corte d’Assise (“Non chiamatemi giudice” come si affanna a correggere tutti i testimoni) da castigatore livido e implacabile a persona capace di esternare persino emozioni e sentimenti (ah, l’amore!). Se il processo si basa su un fatto drammaticamente crudo e scabroso (la morte violenta di una infante), dialoghi veri e frizzantini e osservazioni visive della cinepresa danno al lavoro i toni di un’intelligente commedia di costume. E Luchini dal centro del suo ruolo, sorveglia, orchestra e domina ogni scena con la signorilità e l’acutezza di un mestiere che si è abituato a non strafare. Nota a margine: se fosse possibile sarebbe preferibile godersi L’Hermine (L’ermellino, ovvero la toga del magistrato) in versione originale, perché con lui anche la pronuncia delle parole sa definire il carattere del personaggio. Un petit cadeau.