WEB SERIES: STEP BY STEP

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Ivan La Ragione è uno storyteller naturale, dotato di una notevole dose di originalità e fantasia, che in 34 anni di vita ha seguito un itinerario artistico-esistenziale (recitazione, teatro, sceneggiatura) che infine lo ha portato alla regia, grazie alla quale ha trovato l’elemento più importante per ogni buon narratore, ovvero uno sguardo inedito e una prospettiva personale. Viene abbastanza naturale paragonarlo al protagonista di Il frigologo, primo corto di cui è stato sceneggiatore, ma non regista (è di Andrea Veneruso). Il grande Ernesto Mahieux interpreta un bonario napoletano che svolge un lavoro molto pratico, il tecnico che aggiusta frigoriferi. La sua caratteristica più importante, però, è che, oltre a ripararli, “legge” nei prodotti presenti fra le scansie e il freezer psicologia, carenze ed ossessioni dei suoi clienti, finendo per individuare, solo grazie al suo sguardo “obliquo” e alla sua mente deduttiva, l’omicida di una cliente. Anche in Dea Bendata, primo corto di cui La Ragione è autore e regista (e dove inizia la sua collaborazione con l’amico Francesco Crisci, qui solo in veste di digital artist), sguardo e prospettiva sono elementi fondamentali. In evidenza, infatti, c’è lo spettacolo, magico e sorprendente, a cui assiste un pubblico teatrale, ma il sottotesto è l’esperienza personale della giovane donna, che compie un vero e proprio viaggio nel suo inconscio, sensuale, metaforfico e sottilmente masochista. Con Step by Step, l’autore ha avuto finalmente a disposizione uno spazio di racconto abbastanza vasto (web serie in 10 episodi) da potersi permettere di rendere ancora più evidente la propria originale e libera creatività. Questa volta La Ragione firma la regia, mentre divide il ruolo di creatore/sceneggiatore con il disegnatore, pittore e scultore Francesco Crisci che realizza anche storyboard ed effetti visivi, aggiungendo “concretezza tecnico-operativa” ad un progetto, che presenta molteplici aspetti affascinanti. Prima di tutto, una precisa “scelta di campo”: per sfruttare al meglio l’universalità del web, la serie esclude totalmente il linguaggio, raccontando solo attraverso rumori, suoni, squittii, risatine e commento musicale (di Lorenzo Tomio, sempre azzeccato). Il secondo elemento è la struttura narrativa, che procede per slittamenti progressivi, di tono e di genere: parte in un’atmosfera luminosa e ironicamente favolistica (colori vivi, il rosa di un vestito svolazzante, l’affollarsi di famigerati nani da giardino), gradualmente evidenzia la funzione del palazzo dove la storia si sta svolgendo come spazio-prigione che genera conflitti sempre più violenti, ricordando in questo tutti i luoghi d’angoscia e di rovina cari allo scrittore britannico James Ballard, per poi chiudere col gusto macabro-surreale di una zombie story, che spalanca, non solo metaforicamente, i cancelli stessi dell’inferno. E’ comunque la forma, ancora una volta lo sguardo e la prospettiva dell’autore, a rendere sorprendente Step by Step: oltre ad azzerare la voce, la serie cancella anche il volto e il corpo degli attori, scegliendo come protagoniste le scarpe (Tacchi, Anfibi, Gym, Clark, Pantofole) e raccontando l’intera storia da una prospettiva rasoterra, con un ottimo lavoro di fotografia (Daniele Poli) e montaggio (Brunella Perrotta). Passo dopo passo, ad ogni nuovo inciampo e caduta, le scarpe di Step by Step smettono di essere semplici oggetti accessori, per trasformarsi in veri personaggi, con una psicologia riconoscibile, una simbolica fisicità ed una loro precisa visione del mondo, apparentemente lontana e trasversale, ma in realtà fatta di divertito orrore ed esistenziale crudeltà.

INTERVISTA CON IVAN LA RAGIONE

Napoletano (1980), figlio di due professori del liceo classico, laureato all’Università Federico II in scrittura e critica teatrale, con una tesi sul drammaturgo e regista Giuseppe Patroni Griffi, Ivan La Ragione inizia da adolescente a fare l’attore, recitando in due serie televisive: Caro maestro, 1996/97 in onda su Canale 5 e Uno di noi, 1996, trasmesso da Rai1. Sempre alla Federico II frequenta un master di scrittura, mentre a Roma, dove ora vive, partecipa al corso intensivo di sceneggiatura Rai Script, promosso dalla Rai. Debutta firmando la sceneggiatura del corto Il frigologo (2003) e due anni dopo lavora, sempre come sceneggiatore, alla serie tv Senza filtro (2005), composta da 26 puntate. Esordisce nella regia con il corto Dea Bendata (2012), premiato all’East Film Festival. Quest’anno ha scritto, con Francesco Crisci, e diretto la web series Step by Step, prodotta da Tauron Entertainment. Sta lavorando a diversi progetti.

Stando alla tua biografia il tuo percorso è iniziato con la recitazione e solo in seguito ti sei dedicato alla scrittura e infine alla regia. La scrittura è stata una scoperta successiva?

In realtà ho sempre scritto, quello è stato il mio interesse primario fin da ragazzino. Fra i 14 e i 16 anni, invece, ho pensato di fare l’attore, ma è stato un breve periodo di distrazione, e al secondo anno d’università ho riscoperto la mia vera vocazione. Ho anche vinto un concorso letterario indetto dalla Federico II, con un testo che poi è diventato la sceneggiatura di Il frigologo. Proprio per raggiungere competenze che non avevo e imparare la struttura e la costruzione di un racconto per immagini ho frequentato Rai Script: sei mesi di corso intensivo con bravi professionisti come Francesco Scardamaglia e Gino Ventriglia. Utile e interessante, solo che alla fine si è trasformato in una grande delusione: nessuna selezione, nessuna possibilità di andare a bottega da qualche sceneggiatore, nessuno sbocco professionale.

Però sei ugualmente riuscito a lavorare come sceneggiatore e a firmare il tuo primo corto. Due esperienze positive?

Certamente. Senza filtro è una serie andata in onda su un canale regionale campano, la potremmo definire un antesignano di Boris, visto che era una commedia con al centro la vita e il lavoro in uno studio di produzione televisivo. Sono andate in onda con successo 26 puntate da 20 minuti l’una ed è stata un’ottima palestra. Dea Bendata, invece, l’ho auto-prodotto grazie a 4 mila euro che avevo da parte, ho scritto diverse stesure della sceneggiatura ed è stato importante perché ha rappresentato il primo contatto diretto con la regia e i suoi problemi di carattere tecnico e di struttura narrativa.

Con Step by Step firmi il tuo progetto più ampio e articolato. In che modo è nato il rapporto con la Tauron che lo ha prodotto?

Il contatto con la Tauron è stato un caso fortunato: un ragazzo di Associak, la distribuzione indipendente che si era occupata di Dea bendata li conosceva e me li ha presentati. Quando li ho incontrati avevo già scritto ben otto versioni della sceneggiatura e realizzato anche il trailer, perché era il modo più diretto per spiegare questo progetto, muto e così particolare.

In veste di regista hai commesso forse il reato più grave nei confronti di un attore: hai cancellato i suoi strumenti di lavoro, il corpo e la voce. Come ti difendi da questa (scherzosa) accusa?

Dicendo che avevo cominciato a scrivere Step by Step più di due anni fa e che l’idea delle scarpe c’era dall’inizio e non ho mai inteso abbandonarla. Per quanto riguarda gli attori, poi, ho sempre dato per scontato che una produzione low budget – abbiamo girato 2 settimana, per 6 mesi abbiamo lavorato alla post-produzione, costo finale 50 mila euro – non li avrei avuti mai. Così ho scelto dei cari amici che si sono prestati al gioco: Anfibi è la mia ragazza, Tacchi è Anastasia Scacco, la protagonista di Dea bendata, e “compaio” perfino io, nei piedi di uno zombie.

Qual è stato l’apporto di Francesco Crisci?

Siamo coetanei e amici da sempre. Quando ho realizzato Dea bendata l’ho coinvolto come fumettista e illustratore per risolvere i problemi degli effetti grafici per le scene sulla spiaggia. Per Step by Step abbiamo lavorato insieme a tutto il progetto, a partire dall’ideazione della storia, ma soprattutto lui ha contribuito a creare l’universo grafico-visivo di questa storia, un po’ cartoon alla Tom e Jerry e un po’ horror che non intende però fare veramente paura, ed è stato essenziale per le scene dell’inferno. Io amo soprattutto scrivere, per cui per me è fondamentale avere accanto persone che possiedano precise competenze tecniche. Come il direttore della fotografia Daniele Poli, che ha lavorato a Boris.

Domanda finale di rito: come giudichi l’esperienza web series e quanto è difficile oggi per un giovane autore fare cinema?

Devo ammettere che, grazie all’idea delle scarpe, credevo sarebbe stato abbastanza semplice trovare un marchio pronto a sponsorizzare la serie. Invece niente da fare. E speravo pure che qualche emittente, come Sky o Fox, potesse essere interessata a mandarla in onda. Invece silenzio assoluto. Anche se sono soddisfatto di quello che ho fatto fino ad ora, devo ammettere perciò che trovare uno spazio, trasformare la creatività in vero lavoro è faticoso e difficile. Ho scritto le sceneggiature di due film e di un pilot per una serie, ma mi sembra che l’ambiente produttivo del cinema non abbia il coraggio di scommettere su nuove idee e nuovi autori. Però io non intendo rinunciare. Continuo a sedermi alla mia scrivania con i miei grossi rotoli di carta – perché il computer lo sento come un vincolo, mentre la carta è uno spazio libero e non si spegne – a tracciare mappe contestuali, definire personaggi, sviluppare storie. Ora sto lavorando a due progetti. Il primo è Piccioni e pallottole, una storia di camorra e mafia cinese fra ninja e catacombe, idealmente ispirato a un vecchio film di John Carpenter, Grosso guaio a Chinatown. L’altro si chiama Flesh Sex e mescola comicità, horror e thriller. Non riesco a vivere senza storie, fanno parte di me.