La battaglia di Fabio Bomberini – al quale il film è dedicato – è stata forse la spinta iniziale per il documentario di Antonio Petrianni, ma in Acqua Benedetta ci sono anche le voci di Carlo Alberto Cecconi, Serena Scaramella e Oise Amidei e le loro vite, “segnate dalla dialisi, tra fragilità, adattamento e resistenza”, come ci anticipa la produzione esplicitando alcune delle caratteristiche di una storia nella quale si intrecciano due diversi piani e l’acqua è protagonista.
E dando l’appuntamento alle due proiezioni speciali al Cinema Beltrade di Milano in programma per venerdì 20 giugno alle ore 21:30 – alla presenza del regista e degli autori – e per mercoledì 25 giugno alle ore 19:30. Due occasioni rivolte al pubblico, alla stampa e al mondo della salute e della cultura per scoprire questo racconto corale dalle diverse implicazioni.
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IL FATTO
“Non tutti i luoghi sono abitabili, non tutti i corpi sono vivibili. Non esiste il bene, non esiste il male… esiste solo la natura. Questo luogo è una macchina perfetta. L’uomo non lo può abitare. Per il suo corpo, inadeguato, quell’acqua è veleno“.
Un uomo procede lento verso il centro dialisi. Il cielo si fa plumbeo, l’aria intrisa d’acqua, la città si appesantisce, i corpi rallentano e vacillano. Che sia la dieta di un dializzato o il livello di un canale, l’equilibrio è incerto e si basa sul controllo dell’acqua. Dialisi sistematica, gestione del peso, dieta minuziosa. Monitoraggio degli impianti, analisi idrometriche, vasi comunicanti. L’acqua preme sotto la pelle e ristagna sulla terra, si insinua nei tessuti, satura l’aria. Tra annegamento e siccità, tra reni e terreni, vene e canali, tra meccanica idraulica e medicina. Uomo e Natura restano in bilico. Ma su cosa poggia il nostro equilibrio?
L’OPINIONE
Come dichiarato nell’incipit “non tutti i luoghi sono abitabili, non tutti i corpi sono vivibili”, una premessa decisamente utile a comprendere il percorso narrativo del film, che avanza su due binari paralleli, quello del racconto della quotidianità di uomini e donne in dialisi e quello del lavoro di cura dei canali e di bonifica dei territori dell’Agro Pontino. Due piani nei quali l’analisi si sviluppa attraverso la rappresentazione dell’impegno umano e del tentativo di opporsi o resistere all’azione distruttiva dell’acqua, comunemente considerata elemento indispensabile alla vita.
La sincerità del racconto è il punto di forza delle storie di Fabio, Carlo Alberto, Serena e Oise, uomini e donne uniti da una stessa condanna e divisi dal diverso modo di affrontarla o di viverla. Una scoperta continua – per i più – che via via svela nuovi dettagli e offre nuovi spunti di riflessione, ma che di contro fagocita l’attenzione dello spettatore, naturalmente portato a empatizzare con l’elemento umano e ad appassionarsi all’evoluzione dei diversi casi.
Resta interessante il lavoro fatto sul sonoro e sulle immagini (soprattutto quelle extraurbane), al netto di alcuni momenti di inevitabile perdita di spontaneità da parte dei soggetti osservati e di autoreferenzialità come dello sbilanciamento cui si faceva riferimento, che comunque non depotenziano certe confidenze o sfoghi né l’operazione in sé. Alla quale forse avrebbe giovato evidenziare maggiormente certi aspetti, come la non sincronicità del racconto e il collegamento tra l’acqua benedetta di quei pochi sorsi concessi ai malati e quella che si lavora per tenere sotto controllo perché non si riveli letale, con pompe idrovore o con la dialisi, a seconda dei casi.
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Per molti aspetti, sia per l’ambito medico di fondo, sia per lo spazio dato alle storie dei singoli pazienti, sia per lo sguardo riservato alla malattia e alle sfide che comporta, è molto recente la memoria del GEN_ di Gianluca Matarrese, documentario che parla di fertilità e affermazione di genere e che abbiamo visto durante l’ultimo Sundance Film Festival.