Al via gli INCONTRI della IDM Film Commission: tra gli ospiti il regista Marco Manetti

Su Zoom la due giorni della IDM Film Commission dell’Alto Adige. Con un’intervista a Manetti e un dibattito con Antonio Barbera, Carlo Chatrian, Piera Detassis e Matthis Wounter Knol

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Primo appuntamento con la decima edizione di INCONTRI, organizzata dalla IDM Film Commission dell’Alto Adige, per riunire (questa volta su Zoom) le varie professionalità del mondo del cinema intorno a riflessioni e confronti sul presente e sul futuro del settore. Bilanci sul difficile periodo della pandemia e orizzonti dell’agognato post-pandemia sono, inevitabilmente, al centro delle discussioni moderate da Alessandra De Luca e Torsten Zarges. 

La giornata del 26 maggio ha visto in particolare la partecipazione del regista, sceneggiatore e produttore Marco Manetti, che insieme al fratello Antonio forma il duo creativo dei Manetti Bros., tra i più significativi del panorama filmico italiano contemporaneo. Ha fatto seguito un dibattito sul futuro dei festival e sul ruolo dei premi nel mercato cinematografico in collegamento con Alberto Barbera (Direttore Artistico della Mostra del Cinema di Venezia), Carlo Chatrian (Direttore Artistico della Berlinale), Piera Detassis (Presidente dell’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello) e Matthis Wounter Knol (Direttore dell’European Film Academy).

Marco Manetti in collegamento durante l’incontro

Manetti ha raccontato il suo percorso nel cinema e nella tv, dall’episodio De Generazione di Consegna a domicilio (1994) al David 2018 per Ammore e malavita, aspettando l’attesissimo Diabolik (la cui uscita è prevista per il 16 dicembre 2021). «Siamo soprattutto registi, è questo il nostro principale lavoro», ha precisato Manetti con riferimento alla poliedrica attività sua e del fratello, che li ha visti impegnati quest’anno anche come produttori del film di Cosimo Gomez Io e Spotty, girato a Bologna. D’altronde, come registi, «proviamo a mettere le mani ovunque», dalla scrittura alla fotografia, «è un approccio molto artigianale».

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Un’esperienza, quella dei Manetti Bros., che si segnala felicemente anche per l’approccio fresco e personale a generi come il poliziesco, l’horror, la fantascienza. Anche se la definizione di “registi di genere” sta un po’ stretta a Marco, perché «i film non sono generi, sono storie»: e ai Manetti Bros. interessa soprattutto raccontare le storie in cui credono, senza «preoccuparsi del genere», anche (e soprattutto) se quest’ultimo non è tra i più frequentati della cinematografia nazionale. Una libertà creativa che si è mantenuta negli anni. Il segreto, sintetizza Marco Manetti, sta in «una sorta di ingenuità, un pizzico di follia e anche di testardaggine».

Figlio di una «famiglia di cinefili» tra Testaccio e il cinema Cilea di Palmi (in Calabria), Manetti si è formato tra Hitchock e i B-movies italiani, anche se, sottolinea, «i fumetti di supereroi sono la cosa con cui sono cresciuto di più, forse più dei film». Tra i primi ricordi cinematografici, uno spaghetti western («forse uno dei Trinità») visto con la madre, mentre è molto nitido il ricordo dell’ultimo film visto in sala (prima del lockdown di marzo 2020), Star Wars Episodio IX. A proposito della pandemia, Manetti non nasconde il timore che «quando le porte saranno del tutto aperte per tornare in sala avremo fin troppi film in uscita». Non teme invece la concorrenza tra sala (che resta insostituibile soprattutto per il suo valore di «evento sociale») e piattaforme streaming: per lo stesso principio secondo cui «avere la cucina in casa non ferma i ristoranti».

Un’occasione mancata per il cinema al tempo della pandemia, rischia di essere proprio quella di ripensare e ricollocare le sue storie in un contesto così inedito: «Se qualcuno prendesse i film di oggi tra dieci anni per farsi un’idea di come fosse la realtà, incapperebbe in un falso, perché i filmmaker hanno preferito nascondere la pandemia». E anche Manetti & Co., non a caso, hanno dovuto rinunciare all’idea di ambientare la nuova serie dell’Ispettore Coliandro nel mondo del Covid. Nel frattempo, comunque, questa fase è servita a lui e al fratello Antonio (anche) per dedicare la massima cura alla post-produzione di Diabolik: dove, non a caso, ci sono «due sequenze che hanno avuto una totale rivoluzione nella sala di montaggio».

Piera Detassis, Alberto Barbera, Carlo Chatrian e Matthis Wounter Knol in collegamento
La moderatrice Alessandra De Luca e Alberto Barbera

All’insegna della speranza per il futuro prossimo è stato l’incontro successivo. «Penso che stiamo iniziando a vedere la fine del tunnel», ha affermato Alberto Barbera, dichiarandosi «fiducioso che la situazione nei prossimi mesi diventerà più vicina alla normalità». Il Direttore della Mostra del Cinema di Venezia si è inoltre soffermato sull’importanza dei festival nel lancio dei film, sottolineando come quest’ultimo periodo abbia dimostrato come, al netto delle opportunità (anche in termini di allargamento del pubblico) offerte dallo streaming, niente possa sostituire «il tipo di promozione che deriva da un festival dal vivo».

Opinione condivisa da Piera Detassis, la quale ha ricordato come l’edizione dei David di Donatello 2020, tutta in modalità online, sia stata l’occasione per sperimentare «una comunicazione differente» che ha dato «un tocco più giovane» all’evento, ma che nel 2021 si è fatto evidente il bisogno del pubblico di «più empatia, più vicinanza» dopo la distanza forzata dell’anno precedente. 

David di Donatello 2021, tutti i vincitori

E non a caso è stato un momento di forte empatia tra i presenti come quello del discorso di Emma Torre (nel ritirare il premio per il padre Mattia) a imprimersi come uno dei più forti ed emblematici della cerimonia. La Presidente dell’Accademia del Cinema Italiano ha inoltre parlato dell’importanza che possono avere i premi anche per «l’evoluzione della carriera di un artista», che può trarre visibilità e sostegno nel suo percorso da una vittoria o anche solo dalla nomination, e più in generale per «comunicare la passione per il cinema».

Una funzione diversa e complementare rispetto alla selezione delle nuove proposte operata dai festival, quella dei premi: trattandosi di «celebrare i film» dopo la loro uscita, come ha rimarcato il Direttore dell’EFA Matthis Wounter Knol. Che ha citato come esempio il trionfatore degli EFA (gli “Oscar europei”) 2020, Un altro giro di Thomas Vinterberg, aggiungendo inoltre che proprio «in quest’ultimo anno si è raggiunto un pubblico che prima non c’era», grazie all’utilizzo delle risorse telematiche.

Si dichiara «fiducioso» per l’avvenire il Direttore della Berlinale Chatrian, che ha spiegato come il festival di quest’anno si sia rivelato per lui e il suo team «un grande processo di apprendimento», dimostrando che «il cinema è molto flessibile», e confermando (al netto delle difficoltà portate dalle varie e prolungate chiusure) l’importanza dei festival per dare occasioni di visibilità ai film: «Molti di quelli che abbiamo selezionato hanno avuto ottimi riscontri in molte parti del mondo».

«Mettere in luce, selezionare i film» continua ad essere anche secondo Chatrian una funzione fondamentale dei festival: tale da non far loro temere nemmeno il confronto con la realtà delle piattaforme streaming. Queste, ha aggiunto al riguardo Barbera, costituiscono da un lato «una vittoria per il pubblico», avendo allargato e reso economicamente più accessibile l’offerta dei film. Dall’altro, secondo Barbera, renderebbero ancora più rilevante il ruolo dei festival come «strumenti» per orientare il pubblico nella gran quantità di titoli disponibili. Tanto che, secondo Barbera, «il ruolo dei festival ne uscirà rafforzato».