Un lungo e veloce addio, tutti insieme, come quando erano ancora agli inizi e nessuno aveva idea di cosa fosse quella serie spagnola, chiamata Casa de papel, destinata a diventare un fenomeno mondiale. Seduti in una sala virtuale spagnola, i protagonisti della Casa di carta, che da venerdì arriva su Netflix con le cinque puntate conclusive, raccontano le emozioni, i dolori, le aspettative di un’avventura durata più di quanto ciascuno di loro avesse mai pensato.
Spetta ad Alex Pena, ideatore della serie e a Jesus Colmenar, regista, aprire l’incontro stampa mondiale. «Quando abbiamo finito di scrivere eravamo esausti», confessa Pina. «E’ stato molto complicato creare il giusto climax – aggiunge Colmenar – Quest’ultima è di certo la stagione più emozionante, succedono cose del tutto inaspettate, ha un passo diverso, anche se non voglio fare confronti con le altre. Sarà molto diversa da quello che abbiamo fatto finora». Il nome su cui tutti puntano è quello del Professore, spetterà a lui portare fuori i suoi compagni dal Banco di Spagna, dopo la morte di Tokyo.
«Il professore prende decisioni difficili – ammette Alvaro Morte che lo interpreta – Mi piace quando mostra la sua umanità, a volte sembra un meraviglioso robot, ma in realtà è un essere umano che sbaglia, commette errori, non è perfetto, ma poi deve riuscire a provi rimedio». E’ Ursula Corberò, volto di Tokyo, a tentare di spiegare il segreto del successo della serie: «In realtà nessuno di noi lo sa – confessa – credo che sia l’alchimia tra i personaggi, l’idea di famiglia che rappresentano, sono questi gli elementi universali che hanno reso La casa di carta così celebre nel mondo».
Di certo questa serie ha cambiato la vita a tutti i suoi protagonisti. «Per me è stato un regalo enorme – confessa Ester Acebo, volto di Stoccolma – pensavo di dover morire alla seconda stagione e invece eccomi qua, è stato come scartare un regalo giorno dopo giorno». Ma non è stato semplice vestire quelle tute di rosse e le maschere di Dalì così a lungo. «E’ stata dura per tutti – aggiunge Miguel Herrán (Rio) – Dietro alla serie c’è stato un enorme lavoro. Mi porto dietro tutte le cose belle e l’esperienza meravigliosa, quelle brutte le ho dimenticate». Per Najwa Nimri (Alice Sierra) la fatica è stata più emotiva,che fisica. «Non so per quanto tempo abbiamo girato – sottolinea – Dovevamo mantenere sempre alto il livello di energia, è stato forte l’impatto emotivo più che quello fisico». E quando l’ultimo giorno di set è arrivato, ciascuno l’ha vissuto a modo proprio.
«Sono arrivato tranquillo, perché prima a poi tutto deve finire – va avanti Pedro Alonso (Berlino) – Ma poi quando ho letto la lettera che gli sceneggiatori ci avevano inviato non sono riuscito a trattenere le lacrime». Alvaro Morte ricorda così la fine delle riprese: «E’ stato bello, perché ho finito con lo stesso team del primo giorno – ricorda – Ero calmo, perché dopo la seconda stagione, che credevo fosse la fine della serie, ho vissuto una seconda vita, una sorta di seconda chance per entrare ancora nelle scarpe del Professore. Ma ora è arrivato il momento giusto per finire, non potevamo “strizzare” ancora i personaggi, questo finale, all’apice del successo è un regalo che facciamo agli spettatori».
A mettere la garanzia su un finale che non deluderà ci pensa Alex Pina. «Far finire la rapina è stato complicatissimo – ammette l’autore – Abbiamo passato gli ultimi due anni a cercare una chiave e finalmente dopo aver visto le ultime puntate sento che abbiamo realizzato il meglio dell’intera serie». «Il pubblico ha bisogno di sapere cosa succede – conclude Colmenar – Dovevamo chiudere la storia nel modo migliore possibile».