C’era una volta il Beat italiano, al cinema la storia della nostra musica

Molti i protagonisti coinvolti nel doc di Pierfrancesco Campanella

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C’era una volta il beat italiano

Un documentario unico, come uniche sono le interviste che ripercorrono i fasti di musica e costumi di un magico periodo e che compongono il film C’era una volta il beat italiano del cineasta romano (di origini russo-pugliesi) Pierfrancesco Campanella. Distribuito da Parker Film nelle sale cinematografiche – a partire dal 21 novembre – questo nuovo impegno del regista di I love… Marco Ferreri, intende essere l’affettuoso omaggio ad un periodo che ha segnato la storia e che vediamo presentato nel trailer che segue.

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Una analisi lucida e ironica allo stesso tempo che, senza compiacimenti nostalgici, racconta gli anni Sessanta, un’epoca di grandi fermenti e rinnovamento sociale,  nella quale in tutto il mondo cambiarono ideologie, mode, costume, valori. Ma soprattutto il primo capitolo di una trilogia di docufilm a carattere musicale che, prodotta da Sergio De Angelis per la Parker Film, sarà completata dai prossimi film rispettivamente dedicati al rock progressivo e alla dance italiana.

Il racconto del periodo, caratterizzato da una grande esigenza di libertà, passa ovviamente proprio attraverso la musica, che si adeguò con sonorità nuove e testi più impegnati. Come raccontano nelle interviste del film i tanti cantanti coinvolti, molti dei quali parte di quella “beat generation” nostrana, come Don Backy e Ricky Gianco, Renato Brioschi dei Profeti e Pietruccio Montalbetti dei Dik Dik, fino a Livio Macchia dei Camaleonti, Gianni Dall’Aglio dei Ribelli, Donatella Moretti e Mario Pavesi dei Fuggiaschi, Giuliano Cederle dei Notturni, oltre a Franco Oppini, in quegli anni parte dei Gatti di Vicolo Miracoli, massima espressione del movimento “Verona Beat”.

Fondamentale la presenza di Mita Medici, la prima “Ragazza del Piper”, che ha rappresentato la svolta per un’intera generazione di ragazze desiderose di emanciparsi dal secolare predominio maschile, come significativo è l’apporto di Rosanna Fratello, che all’epoca del beat ancora non cantava, sognando di emulare la carriera di Patty Pravo, Rita Pavone e Caterina Caselli.

C’era una volta il beat italiano è inoltre impreziosito dai contributi di vari addetti ai lavori, come Fernando Fratarcangeli (direttore della rivista di collezionismo musicale Raropiù), Massimiliano Canè (autore della trasmissione Techetechetè su RaiUno), il press-agent Niccolò Carosi, i parolieri Alberto Salerno e Claudio Daiano, i musicisti Natale Massara, Mauro Goldsand e Rodolfo Grieco, discografici Federico Monti Arduni, Italo Gnocchi e Andrea Natale, l’operatore culturale Franco Mariotti, la conduttrice tv Morena Rosini (già nel gruppo Milk and Coffee), il regista Luca Verdone e gli esperti di beat Francesco Lomuscio, Federico Gnocchi e Carlo Lecchi (Presidente della AVI, Associazione Vinile Italiana). Infine l’estroso Ivan Cattaneo che il beat lo ha rilanciato negli anni Ottanta con i suoi album di cover (in particolare Italian Graffiati). 

 

C’era una volta il beat italiano, trama

La musica degli anni Sessanta fu lo speciale megafono attraverso cui molti dei messaggi e delle tematiche avanzate dai giovani di allora fecero il giro del mondo. E così sulle note delle canzoni dei Beatles, di Bob Dylan e di Joan Baez gran parte dei ragazzi del pianeta iniziarono a protestare contro la guerra, la società dei consumi, l’imperialismo, il razzismo. Nacque così il fenomeno musicale del beat italiano, durato grosso modo dai primi anni sessanta sino alla fine del decennio. Massimi esponenti furono gruppi come Equipe 84, Rokes, Camaleonti, Nomadi e Giganti, e soprattutto le due “regine del Piper” Caterina Caselli e Patty Pravo.

C’era una volta il beat italiano