Corto Dorico Film Fest, intervista a Daniele Ciprì

Il co-direttore artistico del Festival sul futuro del cinema italiano, tra piattaforme e pandemia

0

Ha preso il via il 3 dicembre la XIX edizione diCorto Dorico Film Fest, uno dei più autorevoli e popolari festival d’Italia per quanto concerne i cortometraggi. Diretta dal regista e direttore della fotografiaDaniele Ciprì e dallo sceneggiatore  Luca Caprara, la manifestazione si svolgerà fino a domenica 11 dicembre alla  Mole Vanvitelliana di Ancona, tra incontri in presenza e online (sulla pagina Facebook di Corto Dorico e sul canale Youtube di ArgoWebTv), masterclass, workshop per ragazzi, musica del vivo, e proiezioni di cortometraggi (nazionali e internazionali), documentari e lungometraggi.

Qui l’intervista al co-direttore artistico Daniele Ciprì:

Come sta il cinema italiano? 

Sta discretamente bene. Certo, sta vivendo un momento dovuto alla difficoltà di entrare nell’animo del pubblico, anche la commedia fa molta difficoltà ad arrivare. Il pubblico di oggi è poco sorpreso dalle immagini, dalle gag, da tutta una serie di situazioni che vengono a sopraffarlo. Il pubblico è molto contaminato, è molto esigente, vuole trovare sempre le novità, quindi il cinema italiano secondo me farebbe bene a riportare un registro quasi tradizionale. Rifacciamo il nostro cinema. Forse potrebbe essere una strada giusta per poter ritornare a urlare “w il cinema italiano”. Cosa che io faccio perché sono di parte ma sento molta difficoltà. Sono rari i casi di film che riescono a prendere le corde del pubblico. Quindi è uno stato di lotta continua. Lottiamo continuamente, cerchiamo di fare del nostro meglio.

Si parla spesso di un cinema che trova difficoltà a riempire le sale: quanto c’entra la situazione post pandemica e quanto invece la fruizione delle piattaforme? 

Gran parte della colpa è della pandemia. E’ anche vero, però, che le piattaforme hanno un po’ “intossicato” il pubblico, soprattutto coloro che erano poco cresciuti dal punto di vista della cinefilia, della storia del cinema. Il pubblico è stato contaminato da immagini, molto belle, fatte bene, ma spesso prive di un contenuto che varia: ormai le serie sono quasi tutte standardizzate. Cambia il genere, cambia il personaggio ma sicuramente nel tipo di narrazione c’è sempre qualche elemento simile a tutte le storie. Detto questo, il problema è che la gente fa fatica ormai a decidere di scegliere un prodotto, quindi a uscire da casa, a posteggiare la macchina, a mangiare fuori e a scegliere un film. Ecco questo mi dispiace tantissimo. La sala fa fatica in questo momento a ritornare in “pole position” anche perché ci sono tanti problemi dovuti alle nuove generazioni. Una generazione che comunque non va a vedere i film, non sceglie i film. Si mette al pc, vola nelle piattaforme e sceglie. E la condizione che ha creato il Covid ha aumentato questo modo di vedere la settima arte. Quindi in parte la colpa la do all’alieno covid ma la do anche a una generazione che non riesce a staccarsi dal proprio io, dal proprio essere per andare a vedere storie altrui. E andarsi a emozionare. Dovremmo andare nelle scuole per accompagnarli a guardare i film. 

Che soluzione propone per coinvolgere lo spettatore?

Coinvolgere lo spettatore è un prestigio. Anche se io personalmente non vado verso lo spettatore ma è mia intenzione farlo riflettere, questo credo che lo facciano molto bene anche dei miei colleghi. Cerchiamo di fare un cinema che ci appartiene, a noi ma anche alla storia del cinema ecco perché dicevo che bisognerebbe andare nelle scuole ad “accompagnare” i ragazzi alla visione del cinema. Non c’è un cinema nuovo o vecchio, c’è il cinema, quell’arte che si alimenta con una persona che dirige una storia, la fa sua e la porta e la rappresenta agli altri. Questa è l’arte. Io sono con il pubblico ma lo porto nel mio immaginario. Se devi coinvolgere lo spettatore di oggi e devi andare nel suo verso non ti porta da nessuna parte. Anzi, c’è il rischio, ed è quello che sta succedendo, che c’è un cinema di “reference” che è un cinema che continua a esistere anche nelle piattaforme: è tutto uguale. Dobbiamo invece cercare di portare le persone in altri posti, in altre dimensioni, dobbiamo rischiare anche in un momento difficile come questo. 

Quanto sono importanti oggi i Festival e le manifestazioni dal vivo che riguardano il cinema? 

I Festival, come le scuole, come tutto quello che sono incontri, sono importanti perché creano condizioni di scambio, di domande, di risposte, di racconti. Poi nei Festival c’è la presenza dell’artista quindi lo spettatore è molto più coinvolto in questa forma. Io addirittura proporrei che nei cinema si facessero sempre degli eventi: una volta il regista, una volta il direttore della fotografia e un’altra lo scenografo. Secondo me, si crea più curiosità nell’opera in sé. Corto Dorico, per esempio, è un festival che non solo proietta i cortometraggi: ci sono concorsi ma c’è anche una grande riflessione dei percorsi, dei temi, delle rassegne, per quello che ci possiamo permettere, che accompagnano uno spettatore di tutte le età a guardare le opere del passato, del presente, opere contemporanee, quelle dei cortisti, che secondo me sono il cinema del futuro. Il cinema breve è quello che ti fa capire dove ti può portare un’opera, cosa potrai raccontare. Quindi evviva le manifestazioni, evviva i festival. Ce ne sono un po’ troppi però va bene così, in questo momento ne abbiamo bisogno.

Perché ha scelto di essere direttore artistico di un festival di corti? 

Sono un sostenitore dei cortometraggi. Li faccio come direttore della fotografia, lavoro a opere di giovani. Sostengo il cortometraggio in quanto opera, come una specie di documento per un autore e quindi accompagno, io dico battezzo, i cortisti e i giovani autori alla loro opera prima che sia breve. Quindi rischiano poco. Da quel punto di vista quando mi è stato proposto il ruolo da co-direttore artistico da Corto Dorico ho accettato proprio per questo tipo di strategia, per cercare di riflettere insieme ai giovani, insieme a tutto il pubblico, per fare una manifestazione che porta ospiti, porta a conoscere personaggi del cinema. Quindi forse sono adatto perché sono sempre sui set e conosco un sacco di registi del passato e del presente. Cerco di dare un contributo a Corto Dorico anzi, li ringrazio di avermi accettato. Credo sia la sesta o settima edizione che “conduco” e credo che continuerò.

Da regista e direttore alla fotografia, perché i film italiani non riescono ad imporsi all’estero?

Secondo me una ragione c’è. Noi facciamo un cinema che poco appartiene a quello che gli americani in maniera particolare, conoscono di noi. Mi riferisco a Fellini, Antonioni, ci sono casi rari di opere italiane che vengono viste all’estero ma sono anch’esse poco vendute. E questo è un problema di mercato del nostro cinema. Nel senso che ci siamo abituati ormai a scimmiottare delle cose che agli americani, agli inglesi o ai francesi non interessano. Loro si aspettano da noi un cinema molto più alto. Penso anche che il cinema americano sia in crisi perché il cinema italiano non condiziona più il loro, nel senso che non porta più opere che possano stimolarli, perché gli americani sono cresciuti per merito dei nostri film specialmente il nuovo cinema americano, mi riferisco dagli anni ’70 in poi. Noi invece stiamo molto più attenti agli incassi. Gli incassi sono numeri ed è rarissimo che avvengano in maniera ottimale, la vendita invece è una vincita, perché il prodotto viene visto in tutto il mondo. 

I suoi progetti presenti e futuri?

Progetti presenti ce ne sono tanti. Sto girando tante opere prime, ho finito Spaccaossa di Vincenzo Pirrotta, mi cimento quasi sempre a fare opere prime di giovani autori. Parallelamente sto preparando un film in costume, sempre come direttore della fotografia, che gireremo in lingua francese con Gianluca Iodice (regista di Il cattivo poeta) e poi ho finito la nuova sceneggiatura del mio film, sono alla quinta stesura e mi sono convinto dopo tanti anni a ritornare alla regia. Farò una riflessione sempre sui comportamenti umani, sulla famiglia in maniera in particolare, ma metterò sempre il mio mondo. Questa volta nella mia terra, spero di girare in Sicilia perché è una storia siciliana ma tutta nuova, tutta inventata. E’ una storia che sento tantissimo.