È morto Jean-Luc Godard

Il regista francese aveva 91 anni

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Jean-Luc Godard è morto. Uno dei padri della Nouvelle Vague e tra i massimi innovatori del linguaggio cinematografico si è spento all’età di 91 anni.

Era nato a Parigi il 3 dicembre del 1930, figlio di una famiglia benestante di origine svizzera, il che gli permette di frequentare le scuole nel neutrale paese d’origine dei genitori mentre nel resto d’Europa imperversa la Seconda guerra mondiale. Una volta terminato il conflitto torna a Parigi, dove si laurea in etnologia, ma già dalla giovanissima età la sua passione è il cinema, che approccia in veste di critico, entrando nell’orbita dei Cahiers Du Cinema per cui scrive alcuni articoli.

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Prende la macchina da presa tra le mani per la prima volta mentre lavora alla costruzione di una diga in Svizzera. Realizza così il cortometraggio Operation Breton, un breve documentario finanziato dalla ditta appaltatrice sulla costruzione dell’opera.

Inizia così la carriera di quello che diventerà uno dei cineasti fondamentali della storia del cinema. Jean-Luc Godard è stata un’influenza fondamentale per generazioni di registi successivi e diversissimi tra loro, da Bernardo Bertolucci a Quentin Tarantino, passando per tutto il cinema orientale a partire dagli anni Novanta in poi.

Tra i cinefili c’è sempre stata questa contrapposizione, quasi alla Coppi e Bartali, tra gli amanti di Godard e quelli di Truffaut, tra Rive Gauche e Rive Droit nella Nouvelle Vague, divisione indicata dalle sponde della Senna e dalle differenze politiche e sociali delle due rive.

Ma il soggetto di Fino all’ultimo respiro fu dato a Godard dallo stesso Truffaut, che poi lo girò rivoluzionando il linguaggio classico di quegli anni, per stile, tecniche, montaggio, uso del sonoro, scrittura e lavoro con gli attori. Tutte cose che avrebbero negli anni caratterizzato il suo cinema, molto teorico e altrettanto politico, compiuto sempre come atto sovversivo e rivoluzionario, in ogni sua forma.

Ma anche, e soprattutto, come ricerca della bellezza attraverso le immagini. La produzione di Godard degli anni Sessanta è tutta da vedere e da rivedere. Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville, Il disprezzo, La cinese, Il bandito delle 11, soprattutto il bellissimo Bande à part (da cui Tarantino ha mutuato il nome della sua casa di produzione).

Dalla fine degli anni Sessanta il cinema si evolve, diventa programmaticamente marxista e sempre più teorico e sperimentale. Negli anni Ottanta gira tre capolavori, PassionPrenom Carmen (Leone d’oro a Venezia nel 1983) e Je Vous Salue, Marie, quest’ultimo oggetto di violenti attacchi ideologici da parte della Chiesa per la sua rilettura della figura di Maria ritenuta blasfema, quando in realtà il film era pervaso da una grande spiritualità cristiana.

Il cinema della sua ultima fase è una ricostruzione libera del mondo attraverso immagini, suoni, riflessioni e parole. Lo spiegano benissimo i titoli dei suoi ultimi due film, Addio al linguaggio e Le livre d’image, opere che avevano ormai sublimato il concetto stesso di cinema per passare a una dimensione altra.

Per raccontare Jean-Luc Godard non basterebbero, e infatti ancora non bastano, decine di saggi, figuriamoci un rapido coccodrillo su internet. Quello che si può fare, da cinefili, è riguardare il suo cinema.

Chi scrive non più tardi di un mese fa ha rivisto Alphaville e Bande à part. Nel nostro lavoro siamo costretti a consumare visioni a ciclo continuo senza spesso avere il tempo che vorremmo dedicare alla riflessione. Riscoprire Godard aiuta a vedere la contemporaneità del cinema nella giusta prospettiva.