È morto Robbie Robertson, musicista gigantesco con la passione per il cinema

La musica dei film di Scorsese è figlia del suo orecchio

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Martin Scorsese e Robbie Robertson

When the light goes out / We’ll go our own way / Nothing here but darkness / No reason to stay” (cioè “Quando la luce si spegnerà / Andremo per la nostra strada / Qui nient’altro che oscurità / Nessun motivo per restare”), Robbie Robertson, morto di cancro alla prostata il 9 agosto a Los Angeles, poco più di in mese dopo aver compiuto 80 anni, il suo commiato dalla vita lo aveva in qualche modo preannunciato nella canzone “Once Were Brothers”, contenuta in “Sinematic“. Uscito nel 2019 è stato l’ultimo suo disco solista e quella canzone aveva dato anche il titolo al documentario Once Were Brothers: Robbie Robertson and the Band.

La vita artistica di Robbie Robertson, nato a Toronto il 5 luglio 1943 da James Patrick Robertson e Rosemarie Dolly Chrysler, nativa americana di origini Cayuga e Mohawk, cresciuta nella Riserva delle Sei Nazioni a sud-ovest di Toronto, ha prima attraversato luminosamente i terreni del rock con la Band di cui è stato il leader e che, parallelamente alle incisioni straordinarie del gruppo, ha accompagnato Bob Dylan nella sua svolta elettrica a metà degli anni ’60.

Il concerto d’addio della Band, sciolta per decisione di Robertson, esausto dopo un ventennio sui palcoscenici, ha segnato anche il suo determinante incontro con Martin Scorsese, regista della documentazione filmata di quella indimenticabile performance del 25 novembre 1976, diventata il leggendario film concerto The Last Waltz (1978).

Una serata epica, dove la Band ha ospitato sul palco colleghi, collaboratori di lunga data e amici, in un’enorme session di tributo alla storia del gruppo, celebrata con un parterre eccezionale di ospiti che, tra gli altri, comprendeva, oltre a Sua Bobbytà Dylan, Ronnie Hawkins, Muddy Waters, Paul Butterfield, Dr. John, Eric Clapton, Van Morrison, Neil Diamond, Joni Mitchell, Neil Young, Ringo Starr, Ronnie Wood ed Emmylou Harris.

Dopo lo scioglimento della Band Robertson ha avviato una straordinaria carriera solista, con capolavori come il suo primo disco del 1987, intitolato semplicemente a suo nome, con la presenza di ospiti del calibro di Peter Gabriel, U2, Neville Brothers, oltre ai vecchi compagni della Band, o come “Music for The Native Americans” (1994) realizzato con the Red Road Ensemble, colonna sonora di un documentario dove l’autore, per la prima volta, andava a esplorare la musica delle sue radici Mohawk.

È proprio al cinema, in una lunga collaborazione che lo ha visto realizzare e/o produrre colonne sonore per l’amico Martin Scorsese (ricordiamo ancora una conferenza in cui Robertson si divertiva a tradurre dallo “scorsese” in inglese per la stampa, scherzando sul fatto che il regista parlasse troppo velocemente e per di più mangiandosi le parole), che Robertson ha dedicato gli ultimi decenni della sua vita.

Nel 1980 Scorsese affida al musicista la colonna sonora di Toro Scatenato e da allora il loro diventa un sodalizio inscindibile: da Re per una notte (1983) a Il colore dei soldi (1986), da Casinò (1995) a Gangs of New York (2002), da The Departed – Il bene e il male (2006) a Shutter Island (2009), da The Wolf of Wall Street (2013) a The Irishman (2019) fino a Killers of the Flower Moon, in uscita questo autunno, il suono e la musica dei film di Scorsese sono figli dell’orecchio di Robertson.

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Il suo talento cine-musicale ha attratto ovviamente anche altri registi: Robertson ha collaborato con Wim Wenders (Fino alla fine del mondo, 1991), Barry Levinson (Jimmy Hollywood, 1994), Oliver Stone (Ogni maledetta domenica, 1999) e nel 1995 ha anche recitato nel film 3 giorni per la verità, di Sean Penn.

La musica e il cinema hanno perso un gigante, ma le sue composizioni vivranno in eterno.