Leo McCarey, il maestro della gag e dei sentimenti: l’omaggio al Festival di Locarno

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Leo McCarey possedeva il segreto della risata universale (vedere le sue silent comedies con Max Davidson, Charley Chase, i sommi Laurel & Hardy che praticamente “inventò” facendoli lavorare insieme e qui a Locarno riproposti in Piazza Grande nel loro esilarante Liberty, e poi i fratelli Marx – che ha diretto in Duck Soup ovvero La guerra lampo dei… – o le gustosissime commedie su misura per il talento di un allora semisconosciuto Cary Grant, come L’orribile verità), ma poteva anche “far piangere una pietra” (parola di Orson Welles a commento di Un cupo tramonto, ma vale anche per uno dei suoi capolavori: Un grande amore, con Charles Boyer e Irene Dunne).

McCarey (1898-1969) attraversò la storia del cinema più glorioso, prima come sceneggiatore e creatore di gag, poi regista d corti e quindi, col passaggio al sonoro, di lungometraggi attraverso i generi più “sognanti” e popolari di Hollywood: la screwball comedy, il musical (per Jeannette MacDonald o Eddie Cantor), il dramma sentimentale. Grazie a un talento straordinario e la conoscenza totale e sperimentata (imparò da Tod Browning a essere contemporaneamente scrittore, direttore e montatore) del mestiere, arrivò sino agli anni sessanta senza mostrare eccessivi segni di stanchezza creativa o senilità artistica, con Un amore splendido (1957, remake altrettanto struggente del citato Love affair – Un grande amore 18 anni dopo, questa volta con Cary Grant e Deborah Kerr), Missili in giardino (1958) con Paul Newman e l’ultimo Storia cinese (1962) con William Holden.

Un amore splendido

Ha vinto personalmente tre Oscar, uno come regista di L’orribile verità (1938) e due per La mia via (1945), come regista e autore del soggetto, il film che fece di Bing Crosby il sacerdote da schermo per eccellenza con tanto di Oscar per lui. Il suo curriculum riporta 91 regie (comiche da due rulli e lungometraggi), quasi 30 sceneggiature e una produzione (il delizioso Le mie due mogli con regia di Garson Kanin).

Leo McCarey al Festival di Locarno

Il festival di Locarno, con la cura di Roberto Turigliatto, ci ripropone una sostanziosa e documentata retrospettiva, compresi anche dei lavori in cui fece da supervisore, dai muti che oggi sorprendono per la finezza con cui si permetteva caricature “etniche” oggi considerabili come scorrettissime (vedi la splendida costruzione, peraltro assolutamente non volgare o razzista, con cui riusciva a scatenare la risata giocando con le differenze fisiche e culturali tra ebrei e irlandesi, con le comiche interpretate dall’irsuto Max Davidson) e poi, crescendo, fornendo, ad esempio, al corpulento, istrionico e poco affascinante Charles Laughton il delizioso ruolo di protagonista in Il maggiordomo (1935) o facendo di un ottimo cantante piuttosto inespressivo come Bing Crosby una star di Hollywood (il citato La mia via e poi il sequel Le campane di Santa Maria l’anno dopo, il 1945, affiancandogli una giovane Ingrid Bergman).

Il maggiordomo Leo McCarey
Il maggiordomo

I suoi segreti? Una grande scrittura “pensata” della gag, l’uso sapiente del montaggio a dosare il ritmo interno dell’onda dei sentimenti, ma soprattutto la capacità di innescare l’intelligenza partecipe dello spettatore lavorando sul significato di una immagine. Pochi come lui sono riusciti a dare il senso di un sentimento, altrimenti nascosto, con un dettaglio; vedi come esempio il mostrare il dolore di una scomparsa semplicemente inquadrando un pianoforte chiuso (succede in Love Affair, quello stesso pianoforte su cui la nonna di Charles Boyer aveva suonato una sublime Plaisir d’amour, cantata da Irene Dunne). Momenti di cinema magistrale, la capacità di consentire a un dettaglio o a un’inquadratura qualcosa di più significativo, chiaro ed elegante di qualunque discorso o spiegazione. Qualcosa che solo i grandi Maestri come Leo McCarey sapevano fare.