Gli Amigos raccontano la storia del Parmigiano Reggiano

Paolo Genovese ha diretto un mediometraggio di circa mezz’ora dalla natura innovativa, in cui vengono illustrare le caratteristiche del celebre prodotto emiliano. “Una formula nuova, diversa dal product placement”.

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Stefano Fresi con i cinque giovani protagonisti de Gli amigos

Un mediometraggio e sei spot diretti da Paolo Genovese sperimentano una nuova forma di messaggio commerciale legato al cinema e a un marchio che in questo caso è il consorzio di tutela dei produttori del formaggio Parmigiano Reggiano. Nel cast di Gli Amigos, questo il nome del breve film, ci sono Stefano Fresi, lo chef Stefano Bottura e cinque giovani attori: Niccolò Gentili, Barbara Venturato, Francesco Gaudiello, Elena Funari e Marianne Leoni. 

La storia è semplice: cinque ragazzi di una scuola di cucina hanno la possibilità di vincere uno stage con lo chef Massimo Bottura. Dovranno superare una prova che richiede di utilizzare per tutte le pietanze un ingrediente costante, che è il Parmigiano Reggiano. Il loro maestro è interpretato da Stefano Fresi che li porta in un viaggio verso l’esame finale, un espediente narrativo che consente di illustrare le caratteristiche biologiche del prodotto ma anche la sua genesi la sua storia. 

Massimo Bottura in una scena del mediometraggio

Gli Amigos (Italia, Akita Film 2021), è stato trasmesso il 18 settembre su Raiuno e poi sarà visibile sul sito del consorzio di tutela (www.parmigianoreggiano.it). I sei spot tratti dal mediometraggio sono stati concepiti come dei trailer che annunciano il film ed hanno tutti un messaggio che si riallaccia alla storia raccontata.

Qui di seguito la prima e la seconda puntata:

Paolo Genovese: “Poco spot, abbastanza documentario e molto film”

Non è un film, non uno spot, ma neanche un documentario…

«Parmigiano Reggiano, come dicevo, non è un product placement, non è un marchio inserito in un film. L’ho trovata una sfida interessante è un prodotto simbolo dell’Italia ed è famoso nel mondo. Dovevamo raccontarlo senza stare a dire quanto è buono o quanto costa poco».

Qual è la struttura narrativa?

«Semplice: abbiamo attraversato il mondo del Parmigiano Reggiano con una storia di finzione. Siamo andati a conoscere come si fa, dove si fa, e chi lo fa. I cinque ragazzi di una scuola milanese di cucina capitanati dal loro istruttore partono con un camper per fare una gara di cucina dove il prodotto base è appunto il parmigiano. L’espediente della conoscenza dell’umanità e delle aziende che producono quel prodotto sarà il loro asso nella manica. Da un lato la storia, che ha una sua piccola drammaturgia, e poi il racconto dei personaggi che è quasi documentaristico. Durante la lavorazione ho scoperto anche io come si fa il Parmigiano. E quindi eccolo qui. È un prodotto non facilmente definibile perché non è uno spot né un documentario e neppure un film ma è qualcosa che ha un po’ di tutti e tre gli elementi. Poco spot, abbastanza documentario e molto film».

Paolo Genovese

9Lei è un regista che è stato spesso a contatto con la pubblicità. Qual è la sua idea del product placement? 

«È un discorso complesso. Se sulla carta il product placement potrebbe essere interessante ma in questo momento di sovraffollamento comunicativo rischia di diventare un boomerang. Se apriamo una pagina web, accendiamo la tv, o guardiamo lo schermo del nostro telefono siamo bombardati da messaggi di comunicazione. Diventa sempre più difficile trovare una comunicazione efficace e intelligente».

A questo proposito ha fatto riferimento al cinema americano…

«Negli Stati Uniti hanno dinamiche diverse. Inserire un prodotto all’interno di un film, una serie o un documentario va bene ma deve essere fatto in maniera intelligente. In Italia le aziende rischiano sempre di inserire uno spot tradizionale in un film ma è una cosa inaccettabile soprattutto in questo momento dove è così difficile andare al cinema e comunque ha un costo. Il pubblico va al cinema per rifuggire dalla pubblicità televisiva e poi se la ritrova sullo schermo. Non è corretto».

Ci sono però tecniche che funzionano.

«Il product placement non deve essere invasivo e il marchio deve essere parte della storia. Penso a Nomadland che è un film che ha vinto Venezia. C’è Amazon raccontata attraverso la vita di un lavoratore stagionale. Solo per fare un esempio recente».

Tra i primi esempi l’orologio, il cocktail o la macchina di James Bond, o la macchina in Blade Runner che sorvola gli edifici con le pubblicità. 

«Nessuno vedeva 007 sulla sua Aston Martin e pensava a una pubblicità. Possiamo anche pensare alla grande popolarità del Duetto Alfa Romeo negli Stati Uniti. Nel film Il laureato, quell’automobile serviva per descrivere meglio il personaggio. C’è un lavoro in fase di scrittura che deve essere ponderato e molto intelligente».