Guanciale è di nuovo Ricciardi

Incontro con l’attore, dal 6 marzo di nuovo su Raiuno nel ruolo del Commissario visionario della Napoli degli anni ’30 nato dalla penna di Maurizio De Giovanni

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È stata la sua scommessa «più difficile, ma in assoluto la più stimolante», perché indossare l’impermeabile di un Commissario nell’Italia degli anni ‘30, condannato a vivere con la maledizione di sentire l’ultimo pensiero di chi è morto in modo violento, aveva la sua giusta dose di rischio. E Lino Guanciale l’ha vinta, non una, ma due volte visto che dal 6 marzo su Raiuno tornerà a vestire i panni del Commissario Ricciardi, nato dalla penna di Maurizio De Giovanni, nei quattro nuovi episodi, diretti da Gianpaolo Tescari. «Tornare nell’impermeabile di Ricciar- di – racconta l’attore a Ciak – significa tanto per me. Questo progetto è stata una scommessa difficile, perché c’era dietro una serie letteraria di enorme successo. Ricciardi era già un personag- gio di culto fra tanti lettori e lettrici del nostro paese, un pubblico estremamente importante con cui confrontarmi, le aspettative erano com- prensibilmente molto alte».

Cosa invidi a Ricciardi?

Una capacità di resistenza fuori dal comune. È chiaro che parliamo di un personaggio dotato di un superpotere, quindi lontano dalla realtà, ma anche molto vero, perché è come se l’autore ci raccontasse attraverso questo personaggio quanto costi a ognuno di noi rapportarsi con gli aspetti più violenti, più crudi, spiacevoli e tragici della realtà.

Tornare a interpretare un personaggio di successo ti ha dato più tranquillità o hai sentito invece il peso delle aspettative?

Più che il peso della sfida sentivo il piacere di vestire di nuovo i panni di un personaggio così caro. Questa volta lo conoscevo già, la seconda stagione racconta un’ulteriore evoluzione sentimentale di Ricciardi messo di fronte a cambiamenti significativi che gli consentono di innescare una marcia affettiva diversa. Lo abbiamo lasciato ad affrontare un lutto importante, come la perdita della tata Rosa, e questo lo porterà ad aprirsi a una nuova fase della propria esistenza.

Anteprima immagine

Il pubblico fa il tifo per Ricciardi, perché si apra un po’ all’amore e agli affetti, insomma che trovi un po’ di consolazione.

Questo è molto bello perché pur essendo lui un tipo molto empatico, riesce ad alzare bar- riere insormontabili nei confronti del mondo esterno, non la fa per proteggere sé, ma per proteggere gli altri da sé stesso. Nel corso della prima stagione il pubblico ha tifato perché Ricciardi riuscisse a demolire pezzo dopo pezzo questi muri, in questa seconda stagione malgrado rimanga la sua tensione nel non voler contaminare gli altri con la sua maledizione, ha una forza che lo porterà piano piano a scalfire questo muro.

Che ruolo ha Ricciardi nella tua carriera?

È stato un punto di snodo fortissimo, anche se prima di lui avevo già affrontato scommesse importanti come Cagliostro ne La porta Rossa. Ricciardi mi ha consentito di fare una sintesi di tante esperienze attoriali pre- cedenti e mi ha permesso di veicolare una grande umanità da parte di un personaggio che praticamente vive solo del suo sguardo. Indubbiamente il successo di Ricciardi è stato importan- te anche per consentirmi di continuare a fare scelte per me interessanti.

È stata dura chiudere La Porta Rossa?

Durissima, Cagliostro è il personaggio in cui caratterialmente mi riconosco di più soprattutto per i suoi difetti, come la sua testardaggine prossima all’ottusità o la difficoltà comunicativa. Ma chiudere la Porta Rossa è stato bello perché siamo stati capaci di dare una dimensione congrua e opportuna a una storia che meritava una dimensione trilogica. Io comunque ho portato a casa il cappotto, il maglione e gli stivali. Ogni tanto credo che li indosserò per rievocare lo spirito di Cagliostro.

Quanto a lungo vuoi rimanere nell’impermeabile di Ricciardi?

Spero che il riscontro del pubblico mi consentirà di continuare a vestire il suo impermeabile a lungo, anche perché ci sono ancora tante cose da raccontare. Di Ricciardi amo moltissimo la sua capacità di creare giustizia all’interno di un mondo così duro come il nostro, amplificata dalla contestualizzazione storica in cui vive, è l’esempio di come si possa rimanere uomini giusti anche quando il mondo intorno sembra non lasciare scampo.

Non è un segreto che il tuo sogno sia quello di diventare regista.

Mi piacerebbe sì, ma non ci si improvvisa, per questo credo sia bene finire un percorso di apprendistato dal punto di vista tecnico. Non credo sia un passaggio obbligato, soprattutto da parte di un attore con una certa popolarità: sia la regia teatrale sia l’aver scritto un racconto Inchiostro sono state esperienze di crescita all’interno del mio mestiere principale, che resta sempre quello di recitare.