Ambulance, intervista a Jake Gyllenhaal

Jake Gyllenhaal è il protagonista di Ambulance, il nuovo adrenalinico action di Michael Bay. Lo abbiamo incontrato a Parigi

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PARIS, FRANCE - MARCH 20: Jake Gyllenhaal attends the Paris premiere Of "AMBULANCE" presented by Universal Pictures at Cinema UGC Normandie on March 20, 2022 in Paris, France. (Photo by Pascal Le Segretain/Getty Images for Universal Pictures)

Michael Bay è tornato, devastando Los Angeles durante il lockdown con Ambulance, remake del film danese Ambulancen. Protagonista del film è Jake Gyllenhaal che interpreta l’elegante e vagamente psicopatico rapinatore di banche Danny Sharp, che dopo un colpo da 32 milioni andato molto male, cerca la via della fuga sequestrando un’ambulanza con dentro un paramedico (Eiza Gonzalez) e un poliziotto ferito da suo fratello Will (Yahya Abdul-Mateen II), ex marine con un disperato bisogno di soldi per poter curare la moglie malata.

Sono questi i presupposti che danno il via a un inseguimento per le strade della città, girato con gli inconfondibili ritmi e i mezzi del cinema del regista di The Rock, Armageddon e Transformers.

Vedere un attore come Jake Gyllenhaal in un action adrenalinico di questo tipo può sembrare strano, ma è stato proprio lui a raccontarci i motivi della sua scelta, a Parigi, dove Ambulance è stato presentato in anteprima mondiale, prima occasione per la stampa europea di poter incontrare di persona attori e registi dopo due anni di pandemia. Una cosa che ha messo tutti di buon umore, attori e giornalisti

Mr Gyllenhaal, cosa l’ha spinta a lavorare con Michael Bay?

È strano, i film d’azione hanno questa reputazione per cui il livello della recitazione sia basso o in qualche modo diverso, ma ho sempre avuto un’opinione opposta in merito, perché indifferentemente dal genere, dalla scrittura, un attore deve sempre mettere nel suo lavoro la profondità che il ruolo richiede.

Sono sempre stato affascinato dal cinema di Michael, è qualcosa che credo sia partito con The Rock e che non so spiegare bene, ma credo sia collegato al fatto che nei suoi film hanno sempre lavorato grandissimi attori perché Michael ama gli attori. Per questo il mio interesse nei suoi confronti è proseguito nel corso degli anni, molte cose che ha fatto mi sono piaciute, altre meno.

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Quando è venuto personalmente a parlarmi di Ambulance, ho detto subito di sì, perché ho capito che Michael Bay è un autore, che segue un’esplosione nello stesso modo in cui va seguito un attore, e lo fa con una tecnica che va all’inseguimento del reale. È lo stesso processo che porta Roger Deakins, straordinario direttore della fotografia con cui ho lavorato alcune volte, a spostare la camera quanto basta per cogliere solo la realtà.

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Michael Bay sul set di Ambulance

Michael non è diverso, ha il suo metodo, lavora con la camera in maniera divina, una scena che sulla sceneggiatura è completamente basata su di te, può ribaltarsi perché magari coglie nell’obiettivo qualcosa che Yahya, per esempio, sta facendo trasmettendo maggiore intensità, e quindi ribalta completamente il punto di vista, e per un attore questo è devastante e bellissimo.

Non penso che a Michael sia mai stato reso merito per queste cose. E poi c’è l’energia, uno tsunami di energia sul set. E come penso accada anche per un giornalista o uno scrittore, avere l’opportunità di affrontare generi diversi è stimolante, e in questo caso è stato incredibilmente divertente, la cosa migliore che potevamo fare sul set era non prenderci troppo sul serio che per me è la cosa migliore anche quando affronti ruoli più seri.

A questo proposito, ultimamente ha interpretato molti personaggi incredibilmente narcisisti, da Spider-man a Okja a Velvet Buzzsaw. È solo un caso o sono ruoli che la fanno particolarmente divertire?

Sono ruoli che esprimono gli artisti che li hanno creati e che mi hanno chiesto di portarli sullo schermo. Adoro il mio lavoro, recitare può essere una cosa divertentissima. Per esempio, quando Bong mi ha raccontato per la prima volta la storia di Okja. Siamo amici, da più di dieci anni, e a un certo punto ha tirato fuori il cellulare e mi ha fatto vedere una foto di questa enorme strana creatura, e quando l’ho vista gli ho detto “C’è una parte per me?”.

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È stata una cosa istintiva, perché mi piaceva la sua visione, e lui ci ha pensato un attimo e mi ha detto che forse un ruolo poteva esserci. E lo stesso è successo con Dan Gilroy per Velvet, Dan è un amico, è praticamente parte della famiglia, e volevo dare corpo alla sua idea, creare qualcosa insieme. E poi ogni tanto amo essere sopra le righe, perdermi nel personaggio, improvvisare se necessario, e questi sono I ruoli migliori per farlo.

Stranamente questo è il terzo film danese di cui interpreta un remake, dopo Brothers e The Guilty. Qual è la sua opinione del cinema danese?

Prima di tutto, il supporto che il governo danese offre allo sviluppo delle arti è straordinario, molte storie sono raccontate da registi che sono usciti da scuole di cinema e ciò che rende queste storie speciali è la solidità della forma e della struttura narrativa, come quella che riesce infondere ai suoi film Suzanne Bier, un’artista che amo profondamente e che ha girato film che pochi hanno prodotto in una carriera, in vita o non in vita.

Eiza González as Camille “Cam” Thompson in Ambulance

E il modo in cui esprime le esperienze umane mi colpisce come pochi film, almeno fino a oggi, sono riusciti a colpirmi. E allo stesso modo ho trovato un’immediata connessione con Gustav Möller, il regista della versione originale di The Guilty, e avrei davvero voluto parlare molto di più con lui. Ultimamente ho girato un film di Guy Ritchie, The Interpreter, in cui recito con Dar Salim, e anche con lui è scattato subito qualcosa. Credo sia perché condivido una consapevole e analitica visione del lato oscuro della vita.

Com’è tornare lentamente alla normalità dopo la pandemia, e com’è stato per lei vivere questi due anni che nessuno si sarebbe mai aspettato?

In questi due anni mi sono preoccupato della vita, che vuol dire tante cose, vuol dire il mio lavoro, che ho la fortuna da quasi trent’anni e che ho deciso essere una priorità per me. Ma è stato anche un privilegio vedere così tanti cambiamenti nel mondo intorno a noi. Ma alla fine, l’unica cosa che conta sono le persone, quelle a cui vuoi bene e che sono con te quando accadono le cose. È un circolo ristretto e a cui sono oggi devoto in un modo nuovo, famiglia, amici, e dato che la mia famiglia è da sempre parte dell’industria cinematografica, questo si intreccia con il lavoro.

Will Sharp (Yahya Abdul-Mateen II) e Danny Sharp (Jake Gyllenhaal) in Ambulance

Quando alla fine della scorsa estate, prima dell’arrivo della variante Omicron, sono stato a Venezia per accompagnare il film di mia sorella Maggie, La figlia oscura, alla Mostra del Cinema, un film che abbiamo girato durante la pandemia, trasferendoci tutti in Grecia per cercare di mandarlo in porto e riuscirci, e vedere la visione, l’espressione artistica di mia sorella, che ovviamente è un’attrice straordinaria, ma che ho scoperto essere anche un’autrice magnifica, tutto questo ha dato un senso diverso alla mia vita adesso.

Jake Gyllenhaal regista quando succederà?

Non lo so, non so neanche se succederà. Mi piace molto il mio lavoro, mi piace produrre e ho troppo rispetto per chi racconta storie con la sua visione e il suo stile. Forse un giorno, ma non adesso.