Guillermo Del Toro: “Il mio Pinocchio celebra la disobbedienza”

Il regista premio Oscar per La forma dell’acqua corona un sogno che ha coltivato per dieci anni. E lo fa sorprendendo tutti, come sa fare lui

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guillermo del toro pinocchio

Sono in debito in con te, ancora non ho letto i romanzi di Maurizio De Giovanni che mi avevi consigliato”. È fatto così Guillermo Del Toro, l’uomo di Guadalajara che adesso può ogni tanto guardare il suo Leone d’oro e i suoi Oscar per La forma dell’acqua dopo essere stato considerato per anni un nerd outsider nel cinema americano.

Poi la banda dei messicani ha capito che era più semplice conquistare Hollywood che riprendersi Alamo e tutto è stato più facile. Dopo l’affascinante incursione nel noir con La fiera delle illusioni, Del Toro si è dedicato a concludere un progetto che aveva particolarmente a cuore e su cui lavorava da dieci anni, la sua personalissima rilettura di Pinocchio e per parlarne l’ho incontrato a Londra, in occasione dell’anteprima mondiale al BFI London Film Festival, riprendendo un discorso interrotto proprio parlando del romanziere napoletano quando lo avevo intervistato per il film precedente.

«Ho avuto un po’ da fare nell’ultimo anno, dovevo finire questo film, stavo lavorando a un paio di serie tv. Ma adesso potrò prendermi un po’ di vacanza e leggere tutto quello che voglio con calma». Pinocchio è diretto a quattro mani con Mark Gustafson e il cast vocale originale è a dir poco sontuoso, con in ordine sparso Ewan McGregor, Finn Wolfhard, Cate Blanchett, Tilda Swinton, Tim Blake Nelson, John Turturro, Ron Perlman, Christoph Walz.

Ci si chiede sempre se c’è bisogno di un altro Pinocchio. Il tuo è davvero sorprendente, a partire dall’ambientazione storica.

Questo film è per me parte di un percorso tematico sviluppato nel corso di tre opere in cui ho parlato dell’infanzia contrapposta alla guerra e alla violenza. Pinocchio in particolare è un film che parla di essere figli ed essere padri e il fascismo, dal mio punto di vista, è sempre stata la rappresentazione di una figura paterna che vuole uniformare i comportamenti e i pensieri dei suoi figli. Questa è una delle ragioni.

Pinocchio Tudum 2022
Tudum 2022. Guillermo del Toro from Pinocchio. Cr. Courtesy of Netflix © 2022

Poi c’è un altro aspetto. Per me esiste il Pinocchio di Carlo Collodi, quello di Walt Disney e quello di Guillermo Del Toro, e il mio è una celebrazione della disobbedienza. Il fatto che il burattino si trasformi in un ragazzo perché alla fine è diventato bravo diventa sempre più irrilevante man mano che procede il racconto.

È un tema, quello del ritorno di certe ideologie, comune a molti paesi in questo momento.

Assolutamente, e la ragione per cui è uno dei temi che fa parte del cinema che faccio è il frutto di molti anni di riflessioni sulla ciclicità della Storia. Sfortunatamente prima o poi queste cose accadono nuovamente e c’è una naturale tendenza delle persone a far sì che ciò avvenga. Ci sono dei segnali chiari che precedono il ritorno. Il primo allarme è la negazione della scienza, seguito dal fastidio nei confronti delle arti, considerate appannaggio solo di una elite della società, e infine il propagarsi di slogan populisti che aiutano a creare fratture nel tessuto collettivo e ad alimentare l’odio tra i diversi gruppi che si vengono a formare. I singoli gruppi si cementano al loro interno grazie alla consapevolezza di avere un nemico comune. Questo è il momento nella Storia in cui abbiamo maggiore possibilità di comunicazione e in cui ci ritroviamo più divisi.

Le altre opere della trilogia di cui parli sono La spina del Diavolo e Il labirinto del fauno, ambientate entrambe durante il Franchismo.

Sono affascinato da tutto quello che è successo nei trent’anni compresi tra il 1915 e il 1945, ancora più in particolare tra il 1922 e il 1937. L’umanità è cambiata in modo irreversibile in quel periodo e tutto è stato una prova generale per quello che sarebbe successo in seguito. La guerra di Spagna furono le grandi manovre della Seconda Guerra Mondiale, il regime fascista in Italia l’anticamera del nazismo e dell’ascesa di Hitler. E tutto quello che è successo in quegli anni è riapparso, successivamente, in altre parti del mondo.

Pinocchio di Guillermo del Toro

Come mai hai optato per la tecnica stop motion per realizzare il film?

La stop Motion è un’arte perduta dal momento della sua nascita. È la più incredibile, esaustiva ed estenuante forma d’animazione ed è maneggiata con maestria solo da un limitato numero di strane persone che gli dedicano tutto il tempo della loro vita. Il legame tra il pupazzo è il suo animatore è affascinante, mi ricorda l’arte giapponese del Bunraku, in cui un attore nascosto dietro un sipario nero manovra una marionettà grande quasi quanto lui con il proprio corpo, infondendogli la sua stessa vita. È  quello che succede anche nella stop motion, che negli ultimi vent’anni si evoluta a un livello tecnico, ma anche filosofico, che la rende comparabile all’animazione CGI.

Tutti i pupazzi usati in questo film hanno delle espressioni facciali create dal lavoro del marionettista, non viene loro sostituita la testa a seconda dello stato d’animo del personaggio. L’unico su cui abbiamo dovuto usare una tecnica diversa, a causa della rigidità del materiale, è stato proprio Pinocchio, e anche la parte inferiore del viso di Spazzatura. In ogni caso, quando decidi di usare una determinata tecnica, non la scegli per fare quello che già fanno tutti, ma per sperimentare qualcosa di completamente nuovo. Almeno questa è la mia filosofia, sono stato un bastian contrario per trent’anni e ho tutta l’intenzione di continuare a esserlo.

Il film parte come un film d’animazione classico, con tanto di canzoni che poi spariscono nella seconda parte. Come mai?

Questo è un film fatto di transizioni. Nella prima parte del film sono i protagonisti a interpretare le canzoni, nella seconda parte prendono il sopravvento le canzoni fasciste popolari durante il Ventennio. Per questo i personaggi principali smettono di cantare.

Parlando di transizioni, come hai detto, nel film c’è anche un cambiamento di prospettiva, da padre a figlio e viceversa.

Devi considerare che questo film è frutto di dieci anni di lavoro, all’inizio il tema principale sul quale mi ero concentrato era l’essere padre, poi nel 2018, mentre lavoravo a La forma dell’acqua è morto il mio papà e la prospettiva si è ribaltata su l’essere figlio. Tutta la parte finale del film mi sta particolarmente a cuore e mi commuovo ogni volta che la guardo. Soprattutto, ci sono storie di padri diversi oltre Geppetto: il Podestà, Il Conte Volpe con Pinocchio ma anche con Spazzatura e altri che si riconoscono nel corso della storia.

Pinocchio di Guillermo del Toro

Il cinema ci ha dato tante rappresentazioni del burattino di Collodi. Come sei riuscito a creare qualcosa di completamente nuovo?

Ci sono 65 diverse versioni cinematografiche di Pinocchio, se a qualcuno non dovesse piacere la mia ha ampia scelta su cui ripiegare. Quello che volevo era non avere un Pinocchio che impara, cambia e diventa un ragazzo vero. Il mio burattino cambia tutti quelli che sono attorno a lui, disobbedisce all’ordine costituito e non diventa un ragazzo vero perché lo è già, non importa quale sia il suo aspetto. Era fondamentale per me evitare qualunque tradizione legata alle precedenti versioni di Pinocchio.

Ho letto il romanzo, ho studiato tutta la letteratura critica e le diverse interpretazioni della favola e ho cercato di dare la mia. La cosa sorprendente è che nessuna versione sia mai stata realizzata in stop motion, perché non era possibile superare il fatto che un burattino vivesse nello stesso universo degli esseri umani. Anche per questo ero intrigato da questa tecnica, ancora di più pensando all’ambientazione storica. Perché se tutti sono burattini e si comportano da burattini, allora il burattino vero è esattamente uguale a tutti gli altri.