La Peste di Francesco Patierno è La Cura

Francesco Patierno e Francesco Di Leva, rileggendo Camus, riflettono sulla capacità salvifica dell’amore e della solidarietà.

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Le riprese con il drone mostrano una Napoli spettrale, resa deserta dal primo lockdown del 2020: sorvoliamo la tangenziale e non c’è traccia di traffico sull’arteria cittadina, che solitamente è imbottigliata. Si sentono suonare le campane (una messa? Un funerale? Difficile a dirsi), mentre le immagini continuano a mostrare una metropoli deserta, dove l’unica creatura vivente è un gabbiano che incrocia la rotta del drone. Benvenuti nel film La cura, scritto (con il protagonista Francesco Di Leva e Andrej Longo) e diretto da Francesco Patierno adattando La peste di Albert Camus per il grande schermo e presentato oggi in concorso alla Festa del Cinema di Roma in anteprima mondiale.

Le riprese del film sono state suddivise in tre fasi: la prima settimana nell’aprile durante il lockdown, con il solo Francesco Di Leva sul set e una troupe di tre persone; Patierno è poi tornato dietro la cinepresa due mesi dopo per un’altra settimana con il resto del cast e ha concluso le riprese nelle tre settimane girate tra febbraio e maggio 2021. Francesco Patierno, fin dall’esordio con Pater Familias (2003), ha saputo raccontare la realtà (specie quella napoletana) come pochi, alternando film di finzione come Cose dell’altro mondo (2011) a docufilm cinematografici come La guerra dei vulcani (2012) ed esperimenti di cinema del reale come Napoli ’44 (2016), dove è riuscito mirabilmente a mescolare le memorie di guerra di Norman Lewis con quelle della nostra storia cinematografica, per raccontare la città di Napoli. In La cura il regista pone Francesco Di Leva (cui è legato dai tempi di Pater Familias) nel ruolo di Bernard Rieux, il medico che lotta contro la peste nel romanzo.

«Noi siamo rimasti fedelissimi ai dialoghi e alle situazioni scritte da Camus, reinventandone soltanto il montaggio e l’assemblamento delle situazioni, ma mantenendo integro il testo – assicura Patierno – Il film segue due linee drammaturgiche intrecciate: una è costituita dalle immagini del reale che riprendono la città deserta in seguito all’epidemia, l’altra è la messa in scena dei momenti chiave della Peste». A fianco di Francesco Di Leva, recitano tra gli altri Peppe Lanzetta nei panni di Padre Paneloux, il gesuita che interpreta la peste come flagello divino; Cristina Donadio che trasforma in donna il personaggio di Cottard, l’uomo che lucra sulla penuria dei generi di prima necessità; Antonino Iuorio (Grand); Francesco Mandelli (Rambert) e Andrea Renzi. Di Leva tiene a sottolineare «l’attualità incredibile del testo di Camus. La sua grandezza è testimoniata dal fatto che, quando abbiamo presentato la sceneggiatura, abbiamo avuto le stesse reazioni di quelle ricevute ai tempi del Sindaco del Rione Sanità, perché ci è stato chiesto se  avevamo cambiato il testo per legarlo all’attualità, ma Camus, così come Eduardo, o Shakespeare, sono grandissimi proprio perché riescono a raccontare storie universali e quindi senza tempo. L’unica vera differenza è che nel film non sono i topi, come accade nel romanzo a simboleggiare l’arrivo e la fine della peste: questa volta il male è invisibile e sconosciuto. Al centro del film c’è l’uomo e la sua umanità, perché questa tragedia ci ha cambiato e ci cambierà tutti. Alla fine i cattivi saranno diventati più cattivi e i buoni ancora più buoni, ma con la consapevolezza dell’importanza di essere tali».

Questo spiega perché, in corso d’opera, il titolo del film da La Peste sia diventato La cura. Patierno dice infatti che «la modifica, anche se il riferimento a La Peste rimane nei
titoli di testa, è avvenuto in modo fisiologico per un doppio motivo».

«Il primo è che, pur essendo rimasti molto fedeli al testo di Camus, il film prende un’altra strada dal punto di vista narrativo e il secondo è che l’aspetto tematico della pandemia permette di parlare di amore, solidarietà e amicizia, le uniche cose in grado di curare la malattia».