L’ex modello che seppe separarsi da James Bond

Sean Connery (1930 - 2020)

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Con James Bond, il personaggio che gli diede fama e successo, ebbe sempre un rapporto contrastato. Sentendone il peso ingombrante, lo abbandonò dopo sei film nei suoi panni (salvo un settimo ritorno con Mai dire Mai, fuori dal conto dei film ufficiali di Bond) senza essere mai stato pienamente consapevole che il pubblico lo considerava il miglior Agente 007 di ogni tempo. Ma anche non calcolando la spia creata dallo scrittore Ian Fleming, Sean Connery, che si era piazzato al terzo posto ad un concorso indetto dal giornale London Express per scegliere il futuro Bond cinematografico, avrebbe comunque dimostrato la sua bravura.

Impegno e dedizione sono stati gli elementi cardine della sua vita, anche se amava sottolineare come gli piacessero le belle donne, il bere e il buon cibo. Figlio di un camionista e di una cameriera scozzesi (nacque nel 1930 a Edinburgo), prima di approdare al cinema si era arruolato nella Marina militare britannica (periodo a cui risalgono i suoi due tatuaggi sul braccio destro: “Scozia per sempre” e “Mamma e papà”), per svolgere poi i lavori più disparati: bagnino, muratore, lavapiatti, verniciatore di bare, guardia del corpo e modello (posando anche nudo), sino ad arrivare al concorso per Mister Universo, dove si classificò terzo. Fu questo il trampolino di lancio nel mondo dello spettacolo e dopo una manciata di film il regista Terence Young, che l’aveva diretto nel 1957 in un modesto film d’avventura (Il bandito dell’Epiro), pensò a lui per il primo Bond: Licenza di uccidere (1962).

Il pubblico mondiale fu subito affascinato dal suo carisma, un feeling che si consolidò negli anni, tanto da essere stato votato nel 1999, quasi 70 enne, “uomo più sexy del mondo” dalla rivista People. Deciso a non fossilizzarsi su un personaggio, Connery scelse di affrontare ruoli molto diversi, così, mentre recitava come Bond, accettò la proposta di Alfred Hitchcock di incarnare un riflessivo industriale innamorato di una cleptomane in Marnie (1964) e quella di Sidney Lumet per il ruolo di militare accusato di viltà in La collina del disonore (1965).

Negli Anni 70 e 80 recitò in pellicole memorabili, in cui la sua professionalità artistica si distinse con limpide prestazioni: dal poliziotto psicopatico di Riflessi in uno specchio scuro (1972), ancora di Lumet, al misterioso Zed, protagonista del futuribile-preistorico Zardoz (1974) di Boorman; dal capo berbero di Il vento e il leone (1975) di Milius all’invecchiato Robin Hood di Robin & Marian (1975) di Lester, fino alle prove più apprezzate nei panni del frate investigatore di Il nome della rosa (1986) di Annaud, del poliziotto irlandese di The Untouchables – Gli Intoccabili (1987) di De Palma che gli valse l’Oscar come non protagonista e del papà di Indiana Jones in Indiana Jones e l’ultima crociata (1989) di Spielberg.

Gli Anni 90 e i primi del 2000 gli offrirono l’occasione di rendere migliori le pellicole a cui partecipava (vedi Scoprendo Forrester, 2000, di Gus Van Sant). A fargli chiudere bruscamente la sua fantastica carriera di attore fu il fallimentare La leggenda degli uomini straordinari (2003, di Stephen Norrington): per la prima volta l’attore pensò che il cinema stesse diventando un terreno appannaggio di idioti e si congedò, dedicandosi solo alle cause che più gli stavano a cuore: l’indipendenza della “sua” Scozia e la cura dell’ambiente. Fu probabilmente la delusione peggiore della sua vita, anche se forse essere stato fermato anni prima per eccesso di velocità da un poliziotto di nome James Bond lo avrà sicuramente scioccato.