Luca – Intervista a Enrico Casarosa: «Un film sull‘amicizia e tanti omaggi all’Italia»

Enrico Casarosa racconta Luca, il nuovo film della casa d’animazione in uscita, in streaming e in tutto il mondo, il 18 giugno: «Parlo anche della mia terra, della Liguria e dei miei sogni di bambino»

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Credits: Office The Walt Disney Company (DISNEY ITALIA)

«Questo è un film sull‘amicizia. Su quegli amici che ti aiutano a diventare chi sei, a superare le tue paure e a confrontarti con realtà diverse dalla tua. Ogni film Pixar ha un tema, Soul era un film sul senso della vita, questo invece racconta il senso dell’amicizia». Enrico Casarosa, primo italiano a dirigere un lungometraggio della Pixar, in uscita su Disney+ il 18 giugno, ne parla con grande entusiasmo, anche perché Luca è un omaggio alla sua giovinezza e ai luoghi dove l’ha vissuta.

Ambientato nella Riviera ligure di Levante, nelle Cinque Terre, in un luogo immaginifico chiamato Portorosso, un mix tra Portovenere e Monterosso, il film narra la storia di due giovani mostri marini, simili ai tritoni, che quando escono dall’acqua assumono sembianze umane, quelle di due ragazzini. Che giocano, che scoprono e si scoprono, che fanno amicizia e che sognano. Un sogno molto preciso: vogliono una Vespa, simbolo della libertà che anelano e faranno di tutto per ottenerla, anche in barba ai consigli dei genitori che sanno che gli esseri umani sono una razza pericolosa, che nei tritoni vede solo mostri da uccidere. Ma i due ragazzini, uno timido e uno spigliato, non sentono ragioni e vivranno un‘avventura memorabile, contornata dai colori pastello del borgo marinaro, dal sapore delle trofie al pesto, da personaggi scontrosi ma bene animati, che sono un omaggio puntuale alla Liguria e alle sue genti.

Casarosa, detto Pinkhouse, («più facile per gli americani da pronunciare») si è trasferito a San Francisco molti anni fa, dove ha cominciato a lavorare per la Pixar, come animatore. Poi nella piena tradizione del sogno americano, un passo alla volta è arrivato alla regia di un grande progetto, passando prima per un corto, chiamato La Luna e sempre ambientato in Liguria, su una delle caratteristiche imbarcazioni della zona, il gozzo. «Qui – spiega, durante il nostro incontro – funziona così. Se hai un‘idea la puoi sottoporre ai registi esperti che periodicamente valutano tutti i progetti dei collaboratori. Quando mi hanno approvato La Luna ero entusiasta, ma quando mi hanno approvato Luca ho toccato il cielo con un dito».

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È un progetto un po’ autobiografico vero?

«Penso che ci sia molto di me in Luca. Da bambino, da Genova andavamo in vacanza alle Cinque Terre, dove ho conosciuto Alberto, un ragazzo molto diverso da me. Io ero chiuso, introverso, timido, pauroso. Lui era aperto, spregiudicato, coraggioso e siamo diventati grandi amici. Aveva una famiglia che non era lì per lui, e io avevo una famiglia che era un po’ troppo lì per me. Io ero titubante e lui seguiva una passione alla settimana. Lui ha dato a me e io ho dato a lui. Siamo molto vicini ancora oggi, perché certe amicizie e certe esperienze restano per sempre, soprattutto quando le vivi da piccolo. Parlare con lui della nostra amicizia mi ha molto aiutato a realizzare questo film».

Credits: Virginia Bettoja

Chi è Luca?

«Luca è un acuto osservatore, ma anche un pesce fuor d‘acqua. Ne La Luna ho raccontato di un bambino che per la prima volta sperimentava il lavoro della sua famiglia. Amo gli outsider, gli esordienti. Sono i personaggi che preferisco e che cerco sempre, perché amo osservare quel mondo con attenzione. Quello delle prime volte. Entrare nelle loro teste e nella loro immaginazione, cercare di capire quello che sognano».

Luca sogna una Vespa…

«All‘epoca era un simbolo di libertà e tutti noi sognavamo di averne una con cui poter sfrecciare per il mondo ed esplorarlo. C’è qualcosa di bellissimo in quel design, era un mezzo sbalorditivo che gridava ‚“libertà”. E mi sembrava la metafora giusta per Luca, anche perché la Vespa è perfetta per due persone e quindi rappresenta anche l’amicizia. Gran parte di questo film parla di un bambino che sperimenta le cose per la prima volta, volevo ci fosse un senso di luce e meraviglia, tipico di qualcuno che si innamora nello scoprire mondo».

Oltre ai particolari che rendono l’ambientazione molto chiara, dalle trenette al pesto al carattere dei liguri, dai particolari caruggi al colore del mare, ci sono molti riferimenti cinematografici e musicali, come i manifesti de La Strada e di Vacanze Romane.

«Stavo cercando, prima di tutto, di ambientare il film in un periodo che amo e ho scelto l’epoca d’oro del cinema e del cinema in Italia. C’è anche molta musica italiana degli Anni ‘50 e ‘60, che ho sempre adorato e poi tutto il design dell’epoca, le vecchie Vespe, i carretti-bicicletta, volevo che il film avesse un sapore antico e rendesse omaggio a quel periodo storico. Ci siamo ispirati anche a La Terra Trema di Visconti, storia di un pescatore che esce in mare, un film meraviglioso. Visconti non ha usato attori, quindi abbiamo guardato a tutti i particolari, anche dell’abbigliamento, per raccontare com’è una città di pescatori della classe operaia».

Gli omaggi sono davvero tanti.

«Ci sono moltissimi dei film che amo, ovviamente. Volevamo condividere con il pubblico l’amore per il cinema italiano e volevamo rendere omaggio ad alcune opere, tra cui Divorzio all’italiana. Abbiamo persino nascosto dei piccoli cartelli in giro per la città, con i loro bellissimi omaggi a tutti i nostri registi e scrittori preferiti».

I due bambini in realtà sono mostri marini che fuori dall’acqua assumono sembianze umane. Un’altra metafora?

«Sì. Ci auguriamo che il mostro marino possa essere una metafora di ogni sorta di sentimento diverso, come essere un adolescente o un pre-adolescente. Quel momento in cui ti senti strano. Ci sono molti modi per sentirsi diversi. Sembrava un modo meraviglioso per parlarne e comprendere che bisogna accettare noi stessi, anche se ci sentiamo diversi, in qualunque modo. Un altro tema del film è l’apertura, l’accettazione di sé e l’accettazione della comunità».

Cosa prova da emigrante nel portare la sua città natale, la sua storia, su un grande palcoscenico come questo?

«Oh, è un grande piacere. Ci abbiamo messo anche un po’ di dialetto e tanti piccoli particolari, volevamo che in questo film ci fosse più focaccia possibile. La focaccia è il nostro pane. Noi liguri, siamo tra i pochi che la inzuppano nel caffè. Tanti piccoli dettagli, che son certo solo i liguri capiranno. Genova è una città meravigliosa, la Liguria è una zona meravigliosa del mondo. E abbiamo cercato di rendergli onore, cercando di essere il più possibile autentici».

Ne è orgoglioso?

Sono molto orgoglioso. Penso che più sei lontano dalle tue radici, più le apprezzi, e onestamente fare film è diventato davvero il mio modo per abbracciare le mie radici per quanto possibile. Sa, mia figlia ha 13 anni, le parlo in italiano tutti i giorni. Le radici sono importanti.

Di Andrea Carugati