“Prendo molto sul serio la responsabilità nei confronti della vita e dell’eredità della Callas” era stata una delle prime dichiarazioni di Angelina Jolie, scelta come protagonista del Maria di Pablo Larraín che vedremo in concorso a Venezia 81. Del quale, dopo la prima foto, scopriamo qualcosa di più – grazie all’esclusiva rilasciata a Vanity Fair – proprio alla vigilia della presentazione in anteprima alla Mostra del Cinema (dove il regista sarà anche come produttore esecutivo della serie su Mussolini con Luca Marinelli, M. Il figlio del secolo).
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Un regista che ammirava da tempo, sempre a sentire l’attrice e regista lei stessa, entusiasta di realizzare finalmente il “sogno” di lavorare con lui e pronta a “dare il massimo per affrontare la sfida” di interpretare una icona del nostro tempo, scomparsa nel 1977 a 53 anni per arresto cardiaco. E Angelina – come dice Larraín, parlando dei sei mesi di preparazione della Jolie – “Ha lavorato sulla postura, ha studiato la respirazione, ha sviluppato un accento adatto… Poi sono arrivate le lezioni di canto“.
E qui si inizia a intuire qualcosa sul mistero che fino all’ultimo promette di avvolgere il film, se alla protagonista fosse stato chiesto di cantare o fosse stata sostituita dalla “più grande cantante d’opera del mondo”. “Ascolti sempre Angelina e ascolti sempre Maria Callas – ha spiegato il regista. – Nel suo periodo migliore, per la maggior parte è la Callas e quando siamo nel presente, è quasi sempre Angelina“.
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Un primo indizio – visto che la storia è ambientata principalmente nel presente (inteso come gli ultimi anni di vita della diva) con dei flashback in bianco e nero affidati al direttore della fotografia Ed Lachman (El Conde) – al quale vanno sommate le successive dichiarazioni: “Come si può fare un film su Maria Callas senza usare la sua voce? Non si può” e “Non puoi fare un film come questo con un’attrice che non canta“.
A giorni vedremo l’effetto di tanto lavoro e impegno, nel film che conclude l’ideale trilogia iniziata con Jackie e continuata con Spencer, e che sempre il suo creatore sintetizza come “la storia di una donna che ha vissuto dagli anni ’20 agli anni ’70 e ha avuto una vita completamente diversa dalla mia“, con “una fragilità che è inevitabile“. “Ha bruciato la sua voce, la sua vita, facendo il suo lavoro, e penso di essermi bruciato un po’ anche io facendo questo film“, ha concluso trovando delle similitudini personali con quanto vedremo sullo schermo.
L’intervista e le foto pubblicate da Vanity Fair