Chiamami col tuo nome, Guadagnino a Roma: “La storia di Elio e Oliver potrebbe avere un seguito” (foto)

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Tranquillo, colto, ironico. Dall’alto delle sue quattro nomination all’Oscar, Luca Guadagnino, accompagnato da Armie Hammer e Timothée Chalamet. ha presentato a Roma all’Hotel De Roussie, Chiamami col tuo nome.

Ha ricordato il lungo e inaspettato cammino del suo poetico e delicatissmo film, proiettato per la prima volta al Sundance Festival del gennaio 2017, e i circa cinquanta premi vinti da allora. “Ho ricevuto molte lettere a casa di uomini e donne, giovani e anziani, che mi diceva per loro si sia rivelato una esperienza trasformativa, come gli avesse risolto dei nodi personali. Credo che funzioni per la sua empatia, comprensione, trasmissione del sapere, e capacità di guardarsi nello sguardo dell’altro. Forme emotive più che mai necessarie oggi”.

Da sinistra, il direttore di Ciak Piera Detassis, Luca Guadagnino, Armie Hammer, la traduttrice Olga Fernando e Timothée Chalamet

Guadagnino è stato coinvolto nel film otto anni fa, come produttore. E in quella veste aveva incontrato Armie Hammer sette anni fa e Timothée Chalamet, quattro. Quando ne è diventato il regista, la pazienza e l’entusiasmo comuni, hanno pagato.

Non lo considera un “film gay”, pur raccontando un amore fra due uomini, ma un film sull’aurora di una persona che diventa un’altra, perché il tema, il desiderio, notoriamente non conosce genere sessuale. “E’ anche un film familiare, e paradossalmente, il primo passo verso un canone che ammiro da sempre, quello “disneyano”, in cui proprio il gruppo di famiglia è un luogo dove ci si migliora a vicenda, come in Toy Story, in cui un manipolo di misfits, sgarrupati, si uniscono e creano una sorta di tessuto connettivo che gli permette di stare insieme come una famiglia”.

A 22 anni Timothée Chalamet è il terzo più giovane attore nominato all’Oscar come protagonista, dopo Jackie Cooper, a 9 anni nel 1931, e Mickey Rooney, 19 nel 1940. Se vincesse polverizzerebbe il record, che dal 2003 appartiene a Adrien Brody, con 29 anni.

Ha faccia più da francese che americano, che deve al nonno, e in sala c’era chi si sforzava di capire a chi somigliasse, visto che un celebre e paradossale detto hollywoodiano recita così: “Non sei nessuno se non somigli a qualcuno”. Forse Jean-Pierre Léaud, suggestionati dall’affermazione di Guadagnino che a Berlino, vedendo il film insieme al pubblico, gli è venuta per la prima volta la voglia di esplorare che ne è stato poi dei suoi personaggi, non tanto per fare il classico sequel, quanto per rintracciarne il mondo, seguendo con umiltà la lezione di François Truffaut col ciclo dedicato a Antoine Doinel.

Guadagnino rivendica il suo internazionalismo e l’amore per cinematografie diverse che non seguono la geografia, ma ammette che nel suo immaginario quello che si porta dietro da Palermo e dalla Sicilia, se deve dare retta all’inconscio che non mente mai, è aver imparato il senso della sensualità, pur in un contesto aggressivo e violento.

Marco Giovannini

Sfoglia la gallery della conferenza stampa! (foto di Andrea Algieri)

 

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