«Dedico questo premio alle Ong che salvano tante vite nel Mediterraneo e ai maestri di strada. Da loro bisogna ripartire per costruire un’Europa in cui credere. Raccontare la realtà pensando che possa essere cambiata con l’arte è un atto di resistenza, così come per le lo è la scrittura». Con queste parole Roberto Saviano accoglie il premio per la sceneggiatura andato a La paranza dei bambini, tratto dal suo omonimo romanzo e scritto insieme a Massimo Braucci e a Claudio Giovannesi, che firma la regia e che dice: «Ringrazio tutti i ragazzi che hanno lavorato in questo film – e mi auguro che la cultura, la formazione e l’educazione scolastica diventino finalmente una priorità. Di questo premio deve gioire l’Italia intera perché raccontiamo Napoli, il nostro paese e il mondo intero, come dimostra la decisione della giuria internazionale in un festival che è al centro dell’Europa. Non raccontiamo la storia di giovani criminali, ma quella di esseri umani e la forza dell’umanità».
«Quando decide di raccontare le ferite della realtà il nostro cinema è più ascoltato – dice ancora Saviano – e io non ho paura degli insulti che potrei ricevere. Vengo accusato di diffamare il nostro paese e di spingere i ragazzini a prendere in man la pistola, e invece la dimensione giovanile viene qui raccontata con un respiro universale».
«Affrontare una materia così dolorosa è stato difficile – aggiunge poi Braucci – e quello che accade è scandaloso. Spero che film aiuti a prendere consapevolezza di quello che avviene non solo a Napoli, ma in tante altre parti del mondo. L’amicizia tra me, Claudio e Roberto è stata molto importante per il nostro lavoro».
A tre anni dall’Orso d’Oro a Fuocammare di Gianfranco Rosi l’Italia torna dunque a vincere alla Berlinale, grazie all’Orso d’Argento per lo script, per la prima volta conquistato nel nostro paese.
L’Orso d’Oro della 69esima edizione va invece a sorpresa all’israeliano Navad Lapid per Synonymes, storia in parte autobiografica di un giovane in fuga dal proprio paese e in cerca della propria identità a Parigi, mentre il Gran Premio della Giuria è per la storia vera raccontata in Grâce à Dieu da François Ozon che porta sullo schermo lo scandalo pedofilia nella Chiesa di Lione. «È ora di mettere fine al silenzio sugli abusi sessuali. Voglio condividere il premio con gli uomini che hanno ispirato il film, che sono stati vittime di abusi e che ora sono i miei eroi. Il cinema non può cambiare la realtà, ma di sicuro aiuta a capirla meglio».
Il premio per la regia è stato assegnato a uno dei peggiori film della selezione di quest’anno, I was At Home, But della tedesca Angela Schanelec, odiato o amato senza vie di mezzo, mentre il Premio Alfred Bauer ha consacrato un’altra regista tedesca, la documentarista Nora Fingscheidt, per l’opera prima System Crasher su una ragazzina che con le sue improvvise e irrefrenabili esplosioni di rabbia riesce a mettere in difficoltà l’intero sistema educativo tedesco.
Il film che per molti avrebbe dovuto conquistare l’Orso d’Oro, So Long, My Son del cinese Wang Xiaoshuai ha vinto “solo” per le migliori interpretazioni, maschile e femminile, di Wang Jingchiun e Yong Mei che interpretano una coppia costretta a fare i conti la morte del figlioletto e i traumatici cambiamenti sociali e politici del paese. La migliore opera prima è Oray di Mehmet Akif Büyükatala, il miglior documentario Talking About Trees del sudanese Suhain Gasmelbari, mentre il premio tecnico va alla fotografia del film norvegese Out Stealing Horses di Hans Petter Moland.
Standing ovation a inizio serata per Bruno Ganz, scomparso poche ore fa, e Dieter Kosslick, che dopo diciotto anni alla guida della Berlinale, cede il posto all’italiano Carlo Chatrian e all’olandese Mariette Rissenbeek.