Martin Scorsese ha cominciato la sua intensa due-giorni torinese al Museo Nazionale del Cinema di Torino incontrando la stampa a poche ora dalla consegna del prestigioso Premio Stella della Mole alla carriera. Per Scorsese, vincitore di ogni qualunque prestigioso riconoscimento cinematografico in oltre sei decenni di carriera, si tratta della prima storica visita al Museo Nazionale del Cinema, con il quale però aveva già collaborato nel 2006 firmando l’introduzione al volume Cabiria & Cabiria, edito dal Museo in occasione del restauro del kolossal di Giovanni Pastrone datato 1914. E proprio con un omaggio a Cabiria, o meglio, con un regalo, si è aperto l’incontro con il cineasta italoamericano, al quale il Direttore Domenico De Gaetano (che con questo evento conclude il suo mandato) ha consegnato un prestigioso DCP contenente alcune scese escluse dal montaggio finale di Cabiria, film al quale il regista è molto legato. “Sono dei filmati rari che finora possedeva solo il Museo” ha spiegato il presidente Enzo Ghigo. “Una vera chicca che il Museo è lieto di condividere con il maestro Scorsese con l’auspicio di implementare la collaborazione con la sua Film Foundation”.
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Scorsese e il restauro dei film: “abbiamo un patrimonio culturale da proteggere”
La Film Foundation è l’organizzazione no-profit fondata nel 1990 da Scorsese ed altri cineasti (tra cui George Lucas, Francis Ford Coppola, Stanley Kubrick, Steven Spielberg e Clint Eastwood), che negli ultimi tre decenni ha contribuito in maniera decisiva a diffondere una vera e propria cultura della conservazione e del restauro cinematografico. Trasformata da Scorsese nel 2007 nel World Cinema Project, è stata al centro del recente documentario Film, the Living Record of Our Memory che racconta la storia della conservazione, del restauro e della digitalizzazione dei grandi film della storia del cinema. Il doc dedica largo spazio al lavoro svolto da Scorsese e al suo “girovagare per studios sul finire degli anni ’80 con una lista di film da conservare”. Lo spunto perfetto per la prima domanda del curatore della conferenza Stefano Boni e Scorsese è un fiume in piena. “È iniziato tutto nei primi anni ’70, quando cercavamo le copie dei film che volevamo vedere. All’epoca non c’erano video e altre possibilità di recuperare materiale, c’erano solo dei piccoli cinema. Con Brian De Palma, Steven Spielberg ed altri ci siamo resi conto che i film che amavamo tanto guardare sarebbero andati perduti. Parliamo di tutte quelle opere uscite dal 1935 al 1960 che avevano ispirato noi ad essere registi. Il mercato era collassato. Sscivano le stampe, i soldi venivano reinvestiti, ma chi si prendeva cura della longevità di quei lavori?” racconta Scorsese. “Tra l’altro erano pellicole in nitrato che potevano esplodere e bruciare da un momento all’altro. A Santa Monica ci fu un grande incendio nel quale bruciò la pellicola principale di Quarto Potere”.
Scorsese sottolinea più volte come quelle opere fossero (e siano tuttora) un “patrimonio culturale” da proteggere perché “rappresentano ciò che siamo”. Cominciò sotto questo principio il loro “pellegrinaggio da un cinema all’altro” per trovare le copie dei film, non solo in bianco e nero, ma anche a colori. Il sistema della stampa dei film a colori era diventato molto costoso, ragion per la quale spesso la qualità era limitata. “Il rosso poteva diventare tranquillamente rosa con il passare degli anni” racconta Scorsese, aggiungendo: “Ricordo quella volta quando al Los Angeles County Museum of Art fecero un evento bellissimo dedicato allo studio della Fox. Ci fecero vedere il vault dove tengono tutti i film. Una cosa gloriosa. C’eravamo tutti, io, De Palma, Spielbgerg. Proiettarono Niagara in technicolor ma ci dissero che dovevano mettere un filtro blu sul proiettore perché la stampa era scolorita. Cominciarono tutti a fischiare, il film non era a fuoco così. Venivano rovinati”.
Il sistema era in pessime condizioni, dunque, e per Scorsese e co. era fondamentale “aumentare il livello di consapevolezza di quelle persone, fare in modo che capissero cosa avevano tra le mani: dei film patrimonio dell’umanità e loro ne erano responsabili”. Fino al 1989, racconta, non ebbe molti risultati, finché non cominciò a circolare la voce che stava girando Quei bravi ragazzi e da lì la Warner Bros. cominciò ad interessarsene. “Nel 1990 fondammo la Fondazione sotto l’egida di Bob Rosen. Con quella fondazione presentammo a ogni Studio un volume di film che possedevano. Mentre giravo ‘Quei bravi ragazzi’ mi occupavo anche di questo. Mettevamo insieme volumi di film e ci presentavamo al front desk dai vari capi (Universal, MGM, Columbia, Warner) chiedendo di contattare gli archivisti. Volevamo collegare tra loro gli Studios. Volevamo che gli archivisti si incontrassero tra di loro. Erano considerati ladri, quando in realtà stavano salvando il cinema”.
Una responsabilità soprattutto nei confronti delle generazioni future: “volevamo mostrare i film agli studenti, per cui decidevamo quali titoli selezionare per la conservazione, chiedevamo agli studios i finanziamenti per gli archivi e così si sviluppavano nuovi negativi”. “Nonostante tutti i cambiamenti avuti nel corso degli anni siamo riusciti a mettere insieme più di 2000 film da tutte le parti del mondo” conclude Scorsese.
No al ritiro: “Non intendo dire arrivederci al cinema”
Terminata la lunga parentesi sulla conservazione e sul restauro cinematografico, Scorsese ha risposto alla domanda circa il rallentamento dei suoi attuali progetti, il film su Gesù e quello su Frank Sinatra, e se stesse considerano l’idea del ritiro. “No, non intendo assolutamente dire arrivederci al cinema! Il film su Sinatra è stato rimandato, ma a quello su Gesù ci sto lavorando. Devo fare ancora alcuni film, finché potrò farli”. Per Scorsese c’è ancora tanta ispirazione e materiale, soprattutto nei confronti del mondo antico. “Come sapete io lavoro tanto anche con i documentari, mi piace guardare al passato, all’antichità, capire gli scavi archeologici e scoprire come funzionava il mondo antico”. In particolar modo, è affascinato dalla Sicilia, il paese d’origine dei suoi nonni. “Spero di avere tutto il tempo di capire da dove arriviamo, da dove siamo partiti. Il mio è un continuo viaggio sentimentale”.
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Come è sentimentale anche la storia che ha tracciato degli Stati Uniti in molti suoi film e che, gli fanno notare, è tuttora attuale. “Con Gangs of New York – girato a Cinecittà tra l’altro – abbiamo scavato nella nascita di un paese. Abbiamo indagato su questo esperimento di governo, l’idea dell’immigrato, che nel 1840 si trasferisce in un altro Paese. Proprio come Fellini che quando girava a Roma sollevava i sampietrini e gli sembrava di essere tra i romani, noi con Gangs vedevamo i veri newyorkesi. Erano presenti molti gruppi etnici e oggi abbiamo di nuovo i gruppi che c’erano all’epoca del film. C’è la stessa lotta e non sappiamo cosa possa succedere tra qualche settimana. Questo esperimento, che chiamiamo democrazia, potrebbe continuare oppure finire”.
Il cinema per le nuove generazioni
Passato e futuro sono due parole chiave per la concezione di arte di Martin Scorsese. Dove il cinema è avanti a tutto, in ogni sua forma, anche Tik Tok. “Il cinema si evolve da sempre, è ovunque e può andare in qualsiasi direzione. Magari tra qualche anno avremo chip nella testa, potremo vedere l’Orlando Furioso o Shakespeare in realtà virtuale, sederci accanto ad Amleto. Dipende sempre da quanto ci si tiene a raccontare qualcosa. Anche sui piccoli schermi di Tik Tok. Io ci sono finito grazie a mia figlia, fa parte della comunicazione. Ma credo che siamo ancora all’inizio di questa trasformazione”.