“La tenerezza”: la recensione del nuovo film di Gianni Amelio

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Italia, 2017 Regia Gianni Amelio Interpreti Renato Carpentieri, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti Distribuzione 01 Durata 1h e 43’

Al cinema dal 24 aprile 2017

IL FATTO – Napoli. Lorenzo è un vecchio avvocato (“Il re dei parafanghi”) che si tiene volontariamente lontano dall’affetto e dalle premure dei figli, attento solo a un nipotino che “ruba” alle ore scolastiche per portarselo a passeggio per la città. Vedovo, reduce da un infarto, con un passato a volte contraddittorio a volte non limpidissimo alle spalle, si scioglie quasi imprevedibilmente a contatto con i nuovi vicini, una moglie dal sorriso disarmante, Michela, un marito piuttosto ombroso e tormentato, Fabio, più due figli. Quasi un “succedaneo” dell’amore filiale che nega e che si nega. Sino a una tragedia devastante che come un lancio di dadi, rimescolerà il tutto.

L’OPINIONE – Dice la figlia Elena, interprete dall’arabo per il Palazzo di Giustizia: “bisognerebbe tradurre il tono della voce, il fiato, gli occhi, quello che hanno per la testa”. In un certo senso è quello che prova a fare, riuscendovi, Gianni Amelio in questo mirabile ritratto di una personalità. Poche volte il cinema contemporaneo è riuscito a cogliere la complessità, l’inestricabile viluppo di carattere e di sentimenti, di azioni e di desideri di un animo, obbligato come è sempre e comunque a sintetizzare e a stilizzare. Amelio, ispirato da un romanzo di Lorenzo Marone, La tentazione di essere felici (Longanesi) ne ha fatto invece il centro di una storia che contiene tante storie, un film “semplice” (nel senso della limpidezza dello sguardo, della chiarezza dei dialoghi, della classicità armoniosa delle riprese – e qui il regista si mostra una volta di più il Maestro che è, il narratore che innova partendo dalla tradizione del mestiere) che non semplifica in nulla la materia che tratta. Perchè il racconto della vita, dei fatti, per quanto loquace non può che arrestarsi davanti all’enigma dell’animo umano, ora generoso, ora crudele, ora misericordioso, ora criminale.

Renato Carpentieri è un attore magnifico (ogni Premio per la sua performance sarebbe logico, doveroso e persino pleonastico), qui al vertice della sua carriera, in un ruolo cui forse ha aggiunto (azzardiamo) anche dimensioni personali e private. Un professionista di successo, ricco di affetti e passioni che inesplicabilmente a un certo punto della vita cessa di provarli (“I figli sono cresciuti ed è successo una cosa strana: ho smesso di amarli”). Con lui, mentre rendiamo il merito alla tensione drammatica che trasmettono anche Germano, Mezzogiorno e Ramazzotti – che il regista sorveglia e stimola senza cedimenti – dobbiamo citare anche il cameo di Greta Scacchi: il tempo non è stato tenero con lei, ma è qui capace di stregare l’attenzione generale solo evocando un episodio dell’infanzia di suo figlio, un ricordo terribile e avvincente.

La tenerezza è un’opera che non termina nell’ora e quaranta del suo svolgimento, ma, come ci ha condotto davanti all’inesplicabile che va accettato, così lascia i suoi fertili strascichi nella nostra immaginazione e riflessione anche dopo. Infine, una nota particolare per come lo splendido cast tecnico (soprattutto il direttore della fotografia Luca Bigazzi e lo scenografo Giancarlo Basili) abbiano saputo fare di Napoli e degli interni delle case, degli elementi fondamentali per la costruzione di un racconto straziante e avvincente, acre ma anche, appunto, tenero.

Massimo Lastrucci

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