Ready Player One, il futuro in versione Spielberg

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Id. Usa, 2018 Regia Steven Spielberg Interpreti Tye Sheridan, Olivia Cooke, Ben Mendelsohn Distribuzione Warner Durata 2h e 20’

Al cinema dal 28 marzo 2018

«Non saprei, magari la vostra esperienza è diversa dalla mia. Ma, per quanto mi riguarda, diventare adulto sul pianeta Terra durante il XXI secolo è stato un vero e proprio calcio nei denti». Chissà quanto c’è di Spielberg nella bocca del teenager Wade Watts e in quel nome allitterato «come Peter Parker, come Clark Kent», o nei video game Donkey Kong e Burger-Time, e nel rito di passaggio per ogni “gunter” – la console Atari 2600 – nel mezzo di una baraccopoli, il distopico parco roulotte d’alluminio dove il romanzo di Ernest Cline, Ready Player One, anno 2045, cala il casco e immerge tutti nell’OASIS, un gioco techie in realtà virtuale, frequentato ogni giorno dalla maggior parte dell’umanità, mentre fuori l’emergenza energetica dilaga.

Dopo le ricognizioni della Storia (civile, afro, Lincoln-martire) Spielberg torna sul sellino spazio-temporale di E.T. e della film company Amblin Entertainment. Al suo posto, l’avatar Parzival (versione VR, accettabile e cool di Wade) che gareggia a bordo della DeLorean DMC-12 sulle note di I Hate Myself for Loving You di Joan Jett and The Blackhearts, prima di spingere il pedale nel palmo del supergorilla Kong, omaggio a Cooper e Schoedsack, inseguito dal T-Rex della Industrial Light & Magic, a caccia di un Easter Egg (un “oggetto nascosto”), occultato nell’OASIS dall’inventore James Halliday prima di morire.

Il supereroe guida gli High Five e la bella sfigurata Art3mis: chi troverà la sorpresa erediterà tutti i beni del mondo, e non solo. Perché Ready Player One è prima di tutto una lettera d’amore agli anni Ottanta, vissuti da Spielberg – alieno rovesciato – dietro la macchina da presa, immaginando, sognando, dando battaglia alle majors che ne hanno schiacciato la creatura più sacra e incompresa: DreamWorks.

L’operazione di Cline, texano – ha scritto il libro sette anni fa – mescola Dungeons & Dragons, un viaggio immersivo nell’Overlook Hotel di Shining (Spielberg fa sembrare le gemelle Grady delle bambole Mecca, come Haley Joel Osment in A.I.) e i Duran Duran. Stranger Things o la (spielberghiana) sci-fi di Abrams (Super 8) sono fuori radar. Se non fuori moda. Gli anni Ottanta in AltspaceVR funzionano non da “commodity” dell’industria – il film incasserà molto o poco? – ma come mega “fuck you” alle corporation che hanno impedito a LucasFilm, ImageMovers e DreamWorks di rendere meno verticale Hollywood, quando i loro boss erano giovani. L’utopia di quella generazione di cineasti rivive indietro. Indietro nel futuro.

Filippo Brunamonti