Peaky Blinder, i motivi per (ri)guardare la regina britannica delle serie gangster

Dal 10 giugno su Netflix la sesta e ultima stagione dell’acclamata serie BBC creata da Steven Knight. Ecco alcuni motivi per non perdere l’epopea crime nella Birmingham del primo ’900

0

Prendete una classifica qualsiasi delle migliori serie tv britanniche di tutti i tempi: ci troverete una varietà di stili e generi, un eclettismo straordinario rispetto al quale il mercato italiano, pur in grande spolvero da qualche anno – per carità – ancora impallidisce.

Nelle prime posizioni, ci sarà sicuramente Benedict Cumberbatch nei panni di Sherlock, in compagnia dell’eccentrico Sir Rowan Atkinson, con le sue interpretazioni comiche in Black Adder e Mr. Bean; se poi la classifica è recente, in top ten c’è senza dubbio la modernissima Fleabag, così come non può mancare la fantascienza dell’ormai quasi sessantenne Dr. Who. Per non parlare degli immortali Monty Python. Per il pubblico più giovane, l’industria britannica ha sfornato negli anni gioielli come ad esempio Skins, mentre le audience più mature si ritroveranno maggiormente in titoli come Downton Abbey (e tra parentesi – come potete immaginare – se qualcuno tra questi titoli manca dalla vostra “videoteca” personale, vale sicuramente la pena recuperarlo!). Come sempre poi, le classifiche delle serie migliori si differenziano tra loro e talvolta cercano di farsi notare inserendo o escludendo qualche titolo, magari elevando a cult serie che non meritano, e viceversa. Diffidate però di quelle chart che non riportano nelle primissime posizioni la gangster-series per eccellenza: Peaky Blinders.

LEGGI ANCHE: Da Peaky Blinders a Harry Potter, le venti location inglesi più visitate

Quella in arrivo il 10 giugno su Netflix (guarda qua il trailer) è l’ultima stagione di una serie che ha rappresentato e rappresenta una delle punte più alte del catalogo della grande N rossa, una punta la cui conclusione si farà sicuramente sentire. Va detto che la genesi di questo titolo risale a molto prima del coinvolgimento di Netflix, essendo Peaky Blinders una produzione BBC, britannica al 100% e distribuita da Netflix solo in un secondo momento. Nel nostro Paese, ad esempio, la data di nascita della saga degli Shelby è il 22 ottobre del 2015, più di due anni dopo il debutto sulla tv inglese.

Partita decisamente in sordina, almeno dalle nostre parti, con il passare delle stagioni Peaky Blinders si è imposta come una delle serie più importanti e più attese, stagione dopo stagione, tanto che il lungo “buco” creato dalla pandemia, ha creato un certo allarme, facendo temere ad un certo punto che la saga potesse interrompersi. Fortunatamente così non è stato: sebbene con un paio d’anni di ritardo, il sesto ciclo di puntate (già trasmesso in UK) è finalmente pronto, anche se purtroppo la ventilata settima tornata di episodi rimarrà invece sulla carta e l’epilogo tanto atteso sarà messo in scena in formato ridotto, con un film conclusivo destinato a prendere forma tra il 2023 e il 2024. Tocca aspettare.

LEGGI ANCHE: Peaky Blinders, non solo Cillian Murphy nel film dopo la serie tv

Ma torniamo indietro, a quel 12 settembre 2013, giorno in cui Peaky Blinders fece la sua comparsa su BBC Two, annunciato come una sorta di Boardwak Empire in salsa britannica. Paragone un po’ ingeneroso, in verità, non certo perché la serie americana prodotta da Terry Winter e Martin Scorsese non sia un gioiello – tutt’altro! – ma perché il creatore Steven Knight aveva iniziato a lavorare a questo progetto ben 12 anni prima, all’inizio degli anni 2000, proponendolo in prima battuta ai signori di Channel 4, sebbene con scarso successo. Come spesso accade in tv e al cinema, i progetti migliori devono fare in qualche modo “gavetta” prima di concretizzarsi, in questo caso grazie alla incrollabile convinzione di Steven Knight, che da vero “Brummie” purosangue, aveva questa storia della sua Birmingham nel DNA, avendo ascoltato tante volte dai suoi genitori le vicende sporche e pericolose di una città che non era mai stata ritratta così da protagonista sullo schermo, lontanissima dall’affascinante Londra o dall’intrigante Liverpool, un non-posto, almeno per il grande pubblico, che aveva bisogno di un vero “local” come Knight per salire finalmente alla ribalta.

Quando la serie prende il via siamo nel 1919, la Prima Guerra Mondiale è appena finita e la Gran Bretagna sembrerebbe sull’orlo di una rivoluzione bolscevica, almeno a giudicare da alcune scuole di pensiero: scioperi a raffica, il movimento delle suffragette che imperversa e la situazione in Irlanda, tra le altre cose, rendevano il Regno Unito un posto non certo tranquillo e la città di Birmingham in particolare non proprio la più sicura in cui vivere, tra gangster talmente forti da scorrazzare senza ritegno alla luce del sole, un mercato illegale delle scommesse sempre più fiorente e soldati appena rientrati dal fronte, armati e talvolta un po’ squilibrati, che rendevano la situazione incandescente.

È in questo clima torrido che si dipanano le vicende di Tommy Shelby e della sua gang, i Peaky Blinders appunto, di cui però eviterò in queste pagine di approfondire di più: raccontare oggi la trama delle prime puntate, quando ne sono uscite ormai 30 (più le 6 conclusive) sarebbe quantomeno fuori tempo; contemporaneamente, andare a riallacciare i fili narrativi delle prime cinque stagioni rischierebbe di rovinare l’approccio alla serie a chi – non avendola mai vista – volesse finalmente recuperarla. E allora – piuttosto – ecco qualche valida ragione per guardare, o magari ripassare, Peaky Blinders.

I punti di forza di Peaky Blinders

Innanzitutto il cast: il già citato protagonista è uno straordinario Cillian Murphy, cui fa il paio, a partire dalla seconda stagione, l’affascinante Tom Hardy. Altri nomi e volti che potrebbero dirvi qualcosa: Sam Neill, nei panni del poliziotto di Belfast inviato da Winston Churchill a sistemare le cose a Birmingham, e poi Annabelle Wallis, Joe Cole (che abbiamo poi visto in Gangs of London), nonché una sfilza di altri attori magari straordinariamente efficaci nei loro ruoli (la compianta Helen McCrory, Paul Anderson e Sophie Rundle su tutti), cui si uniscono nel corso degli anni anche Adrien Brody, Anya Taylor-Joy alias la Regina degli Scacchi, Aidan Gillen del Trono di Spade e tanti altri.

Helen McCrory è Polly

Se vi serve qualche altra ragione per cliccare sulla locandina di Peaky Blinders ed iniziare a guardare, considerate anche la colonna sonora, che include un eclettico mix non sempre coerente con l’ambientazione storica, ma cionondimeno perfetto per punteggiare le vicende narrate; il cosiddetto “production value”, perché non si vede tanto spesso una serie europea così ben realizzata e che non bada a spese; e ancora l’estetica sopraffina, che trasuda da ogni inquadratura, dalla scelta delle luci, ma anche da trucco, parrucco e financo i costumi, a cominciare dai cappelli caratteristici, che danno anche il titolo alla serie: “peaky” sta qui per appuntito, in riferimento al fatto che i personaggi al centro delle vicende usavano nascondere affilatissime lamette da barba proprio nelle “blinders”, ovvero nelle visiere dei loro copricapi, che diventavano così vere e proprie armi. Ma soprattutto, se cercate un motivo per vedere Peaky Blinders, guardatela perché è una gran bella serie. Servono forse altri motivi?