L’attrice ucraina Anna Safroncik è stata protagonista al Riviera International Film Festival, in svolgimento a Sestri Levante. L’attrice, nata praticamente sul palcoscenico, a Kiev, è arrivata in Italia a 11 anni, ma ha viaggiato molto, vissuto all’estero, per questo si sente «italiana, ucraina, russa, una cittadina del mondo».
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E’ stata l’interprete di film come C’era un cinese in coma di Carlo Verdone e volto di molte serie televisive (da CentoVetrine a Il commissario Manara fino a Il restauratore). Odia «il razzismo, le divisioni, e soprattutto questa guerra». Combattuta contro il suo Paese, la sua gente: «In Ucraina ci sono i miei parenti, tantissimi amici. Mio padre è riuscito a scappare in tempo, ma quella è la sua vita, non è qui in vacanza», puntualizza, e la voce le si rompe per l’emozione. «Bisogna comprendere – dice – che siamo tutti cittadini di un meraviglioso pianeta da sostenere, amare e cambiare perché sia ancora più bello per i posteri. Questo è il mio pensiero». Banale? «Forse lo era qualche anno fa – sottolinea in un’intervista a Ciak – ma oggi, dire queste cose, è sopravvivenza».
Come nasce il tuo rapporto col cinema?
Sono nata in una famiglia di artisti e attori. Mia madre, Lilija Chapkis, è una ballerina classica, mio padre, Jevhenij Safroncik, un tenore lirico. Sono crescita dietro le quinte del Teatro dell’Opera del Balletto di Kiev. Si può dire quindi che sono nata sul palcoscenico. Mio nonno, Hryhoriy Chapkis, era uno dei ballerini più famosi dell’Ucraina. Lo scorso anno, quando è mancato, al funerale c’era tutta Kiev, compreso il presidente Zelensky. In casa si è sempre parlato di arte, abbiamo vissuto la recitazione e il palco nel modo più eclettico possibile. Oggi sono prima di tutto un’attrice, perché è ciò che sono diventata e che mi piace fare, ma il palcoscenico nel suo insieme è la mia vita. Si dice che io venga dalla moda ma, in realtà, ho iniziato con C’era un cinese in coma. Carlo Verdone mi ha scelta a 17 anni e mezzo, e poi mi ha voluta Diego Abatantuono come protagonista in Metronotte di Francesco Calogero. La tv è arrivata in seguito.
Attualmente in cosa sei impegnata?
Al momento, purtroppo, in nulla. Il Covid non è stato clemente con nessuno di noi. Dal 1998, quando ho iniziato, non era mai accaduto di veder diminuire così tanto ritmi e lavoro. È stato terribile passare tutti quei mesi dentro casa, non sapendo quando saremmo tornati sul set. Oggi la situazione è migliorata ma non è ancora tornata normale. Ho un sacco di film e fiction che sono ancora in scrittura.
Eppure resti fiduciosa.
Si! sostengo da sempre che la cultura salverà il mondo. Inter arma silent musae, dicevano i latini. Credo che questa frase riassuma il periodo che come artisti stiamo vivendo: abbiamo la creatività bloccata e frenata dalla pandemia, dalla guerra. Bisogna pensare solo alla sopravvivenza e quindi non a evolversi, a migliorare come esseri umani. Io sono una persona di pace. Non capisco né la guerra, né la militarizzazione. Mi auguro veramente che il mondo possa far cessare questa guerra, così da riprendere a gran ritmo la cultura, l’arte, il cinema.
Sogni di tornare a Kiev?
Certo, e soprattutto sogno di veder il mio Paese rifiorire, la gente rinascere dopo tutte queste atrocità, impensabili e inaccettabili nel 2022.
Immagino che in questo momento il cuore e la mente siano concentrati sul dramma ucraino, ma a livello professionale hai qualche desiderio?
Spero di riprendere a girare il prima possibile. Il lavoro è fondamentale per consentire alle persone di avere una vita dignitosa. Lo auguro con forza ai milioni di ucraini che in questo momento sono profughi. Vedo tanto calore qui in Italia, in tanti cercano di aiutare. Vorrei però dire che le persone si aiutano non solo offrendo un luogo dove dormire o mangiare, ma anche dandogli un lavoro. Con alcuni amici, abbiamo creato con la White Milk Foundation, Uniti per l’Ucraina, per aiutare la popolazione rimasta nelle zone di guerra. Attualmente stiamo spedendo materiale medico.
È un modo per provare a fare qualcosa…
Per sentirsi utili. E c’è un’altra cosa: lo sto dicendo a tutti i colleghi, i registi, le persone che appartengono al mondo del cinema. Spero che tutto questo dolore, questi orrori non vengano dimenticati. Il mio è un appello a scrivere, a creare film, a produrre tutto ciò che è in possesso della nostra arte affinché questa storia, tutte queste drammatiche storie, vengano raccontate.