Le lacrime di Dustin

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La voce si incrina, scende una lacrima, fa un gesto con la mano ai giornalisti. Un sospiro, un sorriso stanco e riprende. A Dustin Hoffman, padre burbero e artista in The Meyerowitz Stories, avevamo chiesto di parlare del rapporto con i genitori, di quel momento chiave in cui si capisce il cerchio della vita, il passaggio di testimone. Il punto cruciale. E lui: «Due settimane fa è morta la mamma di mia moglie, la conoscevo da piccolo, abitavamo nella stessa casa, suonavo il piano per lei. Adesso avevamo trasformato la sua stanza in ospedale, volevamo seguirla passo passo. Non è stata come altre morti per me, ne ho seguito il respiro mentre si allentava, affievoliva, spariva. Siamo rimasti con lei sino all’ultimo, il più lungo, il definitivo. Ecco», si commuove, «per me quello è stato il punto cruciale». Mi guardo intorno, i colleghi hanno tutti gli occhi rossi, ciascuno pensa alla propria storia. L’ultima volta che l’ho intervistato, tanto tempo fa, Dustin Hoffman mi aveva disegnato un grande cuore rosso su una pagina del New York Times. Il tempo passa per tutti.

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