Nel 2001, nella città mineraria cinese di Datong, ormai impoverita, vive Qiao (Zhao Tao, moglie e attrice feticcio del regista), innamorata di Bin, un gangster locale, attirata dalle promesse nel giovane capitalismo cinese e decisa a dimenticare in fretta nelle discoteche dove si balla YMCA dei Village People il passato comunista del paese (la scena in cui stacca la spina all’altoparlante del padre che protesta contro la chiusura di una miniera è emblematica).
Durante un combattimento con gang rivali che tanto assomiglia alla scena d’azione di un film di Hong Kong (a un certo punto i personaggi guardano in tv Tragic Hero, del 1987, dove Chow Yun-fat diventa un esempio), la ragazza spara per proteggere l’uomo e viene condannata a cinque anni di prigione per possesso illegale di arma da fuoco. Al termine della detenzione si mette alla ricerca di Bin per provare a ricominciare tutto da capo, ma nulla sarà più lo stesso.
Jia Zhangke, uno dei grandi maestri del cinema mondiale (Leone d’Oro a Venezia con Still Life), torna a raccontare nel suo film ieri in concorso a Cannes, Ash is Purest White, le violente trasformazioni della Cina contemporanea dove millenarie tradizioni sono state spazzate via da una folle industrializzazione, le lusinghe dell’occidente e le menzogne del capitalismo. E lo fa a partire da immagini girate per i suoi film precedenti (come Unknown Pleasures, Still Life) e poi tagliate, come per costruire il suo nuovo film tra le pieghe di quelli già realizzati rimandando a temi come la memoria, il simulacro e un passato destinato a sbiadire. Il titolo cinese del film, Jiang Hu Er Nv (“Figli e figlie dello Jianghu”) è preso dall’ultimo progetto di Fei Mu, regista attivo in Cina tra gli anni Trenta e Quaranta.