Diciamo la verità: realizzare un film su una giovane donna che fa i conti con le proprie contraddizioni facendo a botte con la Madonna è impresa tanto eccentrica quanto azzardata. Con questa bizzarra idea ha flirtato per anni Gianni Zanasi che poi ha finalmente deciso di raccontare in Troppa grazia, presentato alla Quinzaine del Festival di Cannes e vincitore del premio European Cinema Label, la storia di Lucia, una geometra che vive da sola con sua figlia. Mentre si arrangia tra mille difficoltà, economiche e sentimentali, il Comune le affida un controllo su un territorio scelto per costruire una grande opera architettonica. Lei, che affronta scrupolosamente l’incarico assegnatole, si accorge che qualcosa non va, ma per paura di perdere il lavoro decide di tacere.
Il giorno dopo però, mentre continua le sue misurazioni, osserva incuriosita una donna con un velo azzurro in testa, che parla una lingua sconosciuta. Sembrerebbe una profuga, e infatti Lucia le dona cinque euro. Ma la sera, nella cucina di casa sua, quella donna ricompare all’improvviso, la guarda fisso negli occhi e le dice: “Vai dagli uomini e dì loro di costruire una chiesa là dove ti sono apparsa”. Lucia crede di impazzire, perché vedere e parlare con la Madonna è convenzionalmente ritenuto un segno di squilibrio mentale. Almeno da chi non contempla la reale possibilità di un concreto confronto con il divino. A dispetto delle resistenze offerte dalla propria razionalità, la protagonista comincia un vero e proprio dialogo con la Madonna, un dialogo non facile perché la Vergine appare piuttosto determinata nelle sue richieste, al punto da venire alle mani con Lucia che si rifiuta di obbedirle.
“Volevo osservare – spiega il regista, che nel cast ha voluto anche Elio Germano e Giuseppe Battiston – il momento in cui la nostra vita sfiora il mistero, immobile e potente, contrapposto alla confusione e alla friabilità della quotidiano. Le domande profonde che sentiamo, le risposte scomposte e improvvisate che diamo e ancora di più quelle che evitiamo. La verità e la menzogna, insomma”. “Avvertivo – continua Zanasi – che proprio per la sua eccentricità, questa storia poteva diventare tante cose diverse, una commedia irriverente o una riflessione sul sentire religioso di oggi. Mi sono messo nei panni di Lucia e mi sono chiesto: se succedesse a me, come reagirei? Il film non riflette sulla capacità di credere in Dio oppure no, ma su quella di credere ancora, di sentire e di immaginare, nonostante il nostro non essere più bambini. La Madonna del film non è quella del racconto religioso, ma la “Madonna di Lucia”, l’espressione di quella capacità di credere che è propria dell’infanzia, che Lucia ha soffocato per tanto tempo e che riesplode in lei. Ad apparirle non poteva essere nessun altro: ciò che ci affascina della Madonna, al di là dell’iconografia tradizionale, penso sia l’intransigenza. Uno sguardo che ha una nettezza d’altri tempi, e che dice a un presente tutto dedito ai compromessi “tu non sei tutto”. Una Madonna che si fa portatrice di un implacabile e scomodissimo richiamo etico ed esistenziale”.
Alba Rohrwacher, che definisce il film “coraggioso e spericolato”, ci regala un’interpretazione brillante e divertita, in un certo senso inedita, e torna a confrontarsi con il mistero dopo Lazzaro felice e la serie tv Il miracolo. “Alba è come una tastiera dalle moltissime note – dice Zanasi – e insieme ci siamo presi la libertà di emozionare ridendo, senza per questo essere futili. Sento sempre più il bisogno di film liberatori e di lasciare nello spettatore più domande che risposte”. “Sono cresciuta con altre storie – dice invece Hadas Yaron, che interpreta la Madonna – ma questo è stato forse un bene perché sono arrivata sul set con la mente completamente libera. Per costruire il mio personaggio ho cercato di comprendere quello di Lucia, perché è da lei che nasco io, sono la sua voce”.
(foto di Pietro Coccia)