La giovane Alice lascia la famiglia in Svizzera per andare a fare la ragazza alla pari nella cosmopolita Beirut della fine degli anni Cinquanta. Qui conosce l’amore della sua vita, diventa mamma, trova una nuova famiglia, ma purtroppo vede anche una nazione cadere in pezzi.
L’OPINIONE
Presentato (solo sulla carta) alla Semaine de la Critique di Cannes 2020, I cieli di Alice segna l’esordio nel lungometraggio della regista franco-libanese Chloé Mazlo, già molto apprezzata per i suoi cortometraggi e raffinata animatrice.
La fusione di diverse tecniche, le molte intelligenti idee di messa in scena e soprattutto la leggerezza con cui viene raccontata la storia di Alice, ispirata alle reali vicende della famiglia Mazlo, fanno sì che I cieli di Alice sia un oggetto piacevolmente anomalo nel panorama cinematografico contemporaneo.
Attraverso una narrazione naïf sempre in perfetto equilibrio tra fiaba, commedia romantica e la cruda cronaca della Storia, Mazlo racconta la distruzione di un sogno, quello di un paese, il Libano, proiettato verso il futuro e che a causa di una sanguinosa e assurda guerra civile è stato sepolto sotto un cumulo di macerie.
L’assassinio della bellezza e dell’amore, visto attraverso gli occhi di una donna in cerca di entrambe le cose. Abbracciando una nuova cultura Alice trova una casa, una famiglia e persino un orgoglio nazionale che nasce dalla passione della libertà, tutte emozioni interpretate magistralmente da una bravissima Alba Rohrwacher che mescola con equilibrio leggerezza e intensità.
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Persepolis tratto dall’omonimo romanzo a fumetti autobiografico dell’iraniana Marjanne Satrapi, ma anche Valzer con Bashir, docu-fiction animata di Ari Forlman che racconta cosa è successo in Libano dopo gli eventi de I cieli di Alice.