DAVID LYNCH SI RACCONTA: ECCO LA SUA AUTOBIOGRAFIA

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Tra il sogno e la realtà, il cinema. David Lynch si racconta in Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, la vita, appena uscito per Il Saggiatore. Quattrocento pagine di pensieri, ossessioni, segreti del regista dei “quadri filmati”, come definisce le sue pellicole i cui finali riflettono le paure di un uomo alla soglia dei 70 anni. «Mi piace fare film perché mi piace perdermi in un altro mondo. I film sono un mezzo magico che permette di sognare nel buio». L’autobiografia è uno squarcio nel velo che ammanta l’universo surreale di Lynch. Così passeggiamo tra i suoi sogni attraverso le interviste raccolte in un decennio da Chris Rodley: la nascita nello stato del Montana, gli anni da scout, l’amore per la pittura, il viaggio di tre anni in Europa, la scoperta della regia, l’abnegazione per il suo lavoro, la meditazione. Le prime soddisfazioni ma anche le difficoltà di trovare finanziamenti. La costruzione di un mito. I tasselli ricompongono il mosaico della memoria sotto lo sguardo del lettore che assiste alla creazione della visione. 

«Da piccolo ero turbato da molte cose. Pensavo: non è così che dovrebbe andare», disse una volta quello che poi diventò David Lynch. Autore di capolavori come Cuore Selvaggio, Palma d’oro nel 1990, Eraserhead, definito da Stanley Kubrick «il mio film preferito», il regista compose la sua opera magna nel 1986, Velluto Blu, con Isabella Rossellini, ma è sempre associato al suo Mulholand Drive (2011). Il suo cinema è un viaggio attraverso l’ignoto, l’oscuro in quel mondo dai confini labili del sogno, dominato da un’eterna lotta tra bene e male. Io vedo me stesso traccia linee continue tra il cinema di Lynch e la pittura dei suoi artisti preferiti, Oskar Kokoschka e Francis Bacon, ritorna ai favolosi anni cinquanta di Elvis Presley, racconta l’inizio della collaborazione musicale con Angelo Badalamenti, indaga nel mondo di Lynch fotografo. 

E a proposito di cinema, la storia comincia da quel 20 gennaio, data di nascita del regista ma anche di Federico Fellini, a cui riserva incommensurabile stima: «C’è qualcosa di particolare nei suoi film: un’atmosfera che ti fa sognare. Era un tipo unico; se si eliminasse la sua filmografia, al cinema mancherebbe un tassello enorme. Non esiste nient’altro di simile. Mi piace anche Bergman, ma le sue cose sono diversissime, rarefatte. Dei sogni rarefatti. Ritengo che anche Herzog sia uno dei grandi di tutti i tempi. Grande sul serio».