“THE DANISH GIRL”: L’INTERVISTA ESCLUSIVA A TOM HOOPER

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«Un film bellissimo, coraggioso e intenso». Così Scott Mantz di Access Hollywood ha definito The Danish Girl, finalmente in Blu-ray, DVD e Video On Demand, distribuito da Universal Pictures Home Entertainment Italia, con un esclusivo dietro-le-quinte. Ispirato alle vite di Lili Elbe e Gerda Wegener, il film firmato da Tom Hooper e presentato alla 72ª Mostra del Cinema di Venezia, racconta di uno dei primi transessuali della storia, il primo a sottoporsi all’intervento chirurgico per cambiare sesso. Oltre all’intensità della vicenda in The Danish Girl possiamo ammirare le straordinarie interpretazioni della coppia da Oscar composta da Eddie Redmayne e Alicia Vikander.

Per l’occasione vi proponiamo un’esclusiva intervista al regista Tom Hooper, che ci ha raccontato il suo The Danish Girl!

L’INTERVISTA

I film su cui lavora la cambiano in qualche modo? In cosa The Danish Girl l’ha cambiata?

The Danish GirlSì, con The Danish Girl ho intrapreso un incredibile viaggio che mi ha portato a comprendere meglio ciò che prova un uomo transessuale. Mi sono innamorato del copione ancor prima di decidere di girare il film, per cui credo che il viaggio stesso mi abbia premiato e arricchito veramente.

Parliamo della storia di Lili e Gerda e di come le sia arrivata all’inizio..

Tutto è cominciato interessandomi ad un grande copione. Non ti dico quanto sia difficile incappare in sceneggiature ben fatte che non siano ancora diventate dei film; intendo dire che ci sono anni in cui leggo 50, 60 copioni e fatico a trovarne uno che voglio veramente girare. Questo probabilmente rimarrà una delle migliori bozze che abbia mai letto e di cui io mi sia innamorato. Mi ha fatto piangere e, poiché mi ha toccato a tal punto, mi sono sentito obbligato a farlo diventare un film. È la storia d’amore di una giovane coppia, entrambi artisti, che abitano a Copenhagen negli anni Venti, e che devono affrontare la presa di consapevolezza della transessualità di Einar. Altresì è il ritratto di un matrimonio che attraversa questa trasformazione, dove l’amore media il cambiamento dall’inizio alla fine.

È difficile immaginare il coraggio che Lili mostra sottoponendosi a questa transizione, dato che stiamo parlando di quasi 100 anni fa. Non è così?

The Danish GirlSì, è così. Quando The Danish Girl è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, festival che era giunto ormai alla sua 72° edizione, pensavo che quanto ho raccontato nel film successe proprio poco prima dell’inizio della prima Biennale, il che ci dà in qualche modo una scala temporale. Anche girare il film non è stato facile. Era difficile spiegare al pubblico quanto pericolosi potevano essere gli interventi chirurgici a quell’epoca, poiché manca nell’opera un personaggio che dica «l’operazione è rischiosa, gli antibiotici non sono ancora stati inventati». Il film è ambientato prima dell’invenzione di queste grandissime difese contro le infezioni e quindi il rischio di morte era incredibilmente alto e la chirurgia era pionieristica e sperimentale. Credo che un altro aspetto che emerge da questo mio aver vissuto per sette anni con questa storia, sia l’incredibile coraggio di Lili Elbe. Inoltre si può intuire quando dolore deve aver provato decidendo di diventare veramente sé stesso.

Quindi una delle sfide che ha affrontato nel girare un film come questo è stata il non poter imporre concezioni moderne ad una storia che ha circa un secolo?

Esattamente. Ricordo che c’è stata una cosa sulla quale abbiamo molto discusso: nel memoriale di Lili, pubblicato postumo, a volte parla di Einar e di lei come se fossero due persone diverse. E più ci pensavo più continuavo a pensarci. Il termine transgender non esisteva, non c’era una parola che la potesse aiutare, quindi forse cercava di esprimere il concetto dicendo «Ho una donna dentro me anche se sono un uomo esteriormente e questi due aspetti di me sono in conflitto. La donna deve uscire, e deve essere la vincitrice, altrimenti non sarò in grado di continuare a vivere». Questo era interessante perché avevo l’istinto di cambiare questo linguaggio, dato che non era in sintonia con la moderna esperienza trans, ma alla fine ho dovuto fare i conti con quello che la persona reale ha scritto nei suoi diari e, pensandoci bene, le parole che lei ha usato a suo tempo per raccontarsi andavano rispettate.

Come mai è stato Eddie Redmayne, con cui aveva già lavorato, la sua prima scelta?

The Danish GirlSin dalla prima volta che ho letto il copione ho avuto la forte sensazione che Eddie fosse la persona giusta. Ero aperto a diverse possibili vie ma quella sensazione rimase forte in me per tutto il tempo. È stato un caso che avessi già lavorato con lui quando aveva 22 anni sul set di Elizabeth: The Golden Age, e ricordo che è stato mozzafiato nella scena in cui aveva ricevuto la sentenza di morte per essersi ribellato a Helen Mirren. Successivamente abbiamo girato insieme Les Misérables dove la sua interpretazione con sedie e tavoli vuoti resta per me uno dei punti cardine di quel film. C’è qualcosa in Eddie, quella fusione tra uomo e donna, che mi interessava parecchio. Lo avevo già visto recitare in ruoli femminili prima, in Twelfth Night con Mark Rylance nel quale ha vestito i panni di Viola. Quindi ho pensato che poteva essere interessato al film. Gli ho sottoposto il copione nelle barricate di Les Misérables e, come me, se ne è innamorato immediatamente. Alicia non la conoscevo da così tanto tempo come Eddie, ma sapevo che aaveva fatto diversi grandi cose: A Royal Affair, Anna Karenina, Ex_Machina. Credo che lei sia una delle stelle emergenti del panorama cinematografico, ha una grande carriera davanti a sé. Adoro la sua energia, il suo gran cuore, la sua passione e la amo perché è scandinava ma non è conservatrice e british.