Jerzy Skolimowski e EO aprono il CiakPolska Film Festival di Roma

Abbiamo intervistato il cineasta polacco, ospite della manifestazione col suo più recente lungometraggio (premiato a Cannes e candidato all'Oscar) e con l'opera prima Segni particolari: nessuno.

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È con Jerzy Skolimowski che si è aperto lunedì 13 novembre a Roma l’11° CiakPolska Film Festival, la manifestazione dedicata al cinema polacco passato e presente. Il pluripremiato regista (Orso d’oro a Berlino nel 1967 per Il vergine e Gran premio della giuria a Venezia nel 2010 con Essential Killing, tra i vari riconoscimenti) ha portato al Cinema Troisi il suo più recente lungometraggio, EO (Premio della giuria a Cannes 2022 e nomination all’Oscar, distribuito in Italia lo scorso dicembre da I Wonder), e martedì 14 presenta al Palazzo delle Esposizioni (inaugurando la rassegna Grandi autori del cinema polacco) la sua opera prima Rysopis – Segni particolari nessuno (1964).

Un film, quest’ultimo, col quale il cineasta coronò i suoi studi di cinema, «composto di frammenti e realizzato con mezzi irrisori», ricorda parlando a Ciak. «Dopo mi è stato immediatamente proposto di farne un altro, con adeguati finanziamenti e troupe. Lo feci, intitolandolo Walkover. Fu proiettato in poche copie, non ha avuto un grande pubblico in Polonia ma era un film molto ambizioso». E proprio grazie a questo lavoro avremo, 55 anni dopo, EO. Una delle poche copie circolanti, infatti, venne «acquistata da un cinefilo francese per proiettarla in una sala nel XIV Arrondissement di Parigi. Uno dopo l’altro, Godard, Truffaut e gli altri appartenenti alla redazione dei Cahiers du Cinéma erano andati a vedere questo film acclamandolo come il secondo per importanza tra quelli proiettati nel 1967 in Francia».

Fu così che il noto periodico, animato dai maestri della Nouvelle Vague, si mise in contatto col giovane Skolimowski per proporgli un’intervista. «Dissi che lo apprezzavo molto, ma ero curioso di sapere chi ci fosse al primo posto nella classifica di quell’anno, e la risposta fu Au Hasard Balthazar di Robert Bresson. A quel punto ho chiesto di rimandare di alcuni giorni l’intervista in modo da vedere il film che era stato considerato migliore del mio Walkover».

Per il regista polacco, un colpo di fulmine: «Lo vidi, e lo trovai eccellente, devo confessare che per la prima volta in vita mia guardando un film ho avuto le lacrime agli occhi: la scena della morte dell’asino era talmente forte, commovente, e si è iscritta dentro di me al punto che dopo anni ho deciso di fare un film su un asino». Ossia EO (scritto con Ewa Piaskowska), il cui protagonista è l’omonimo animale, liberato da un circo e destinato a vagare per varie terre e alterne sorti, dolorosamente separato dalla giovane artista cui si era affezionato e testimone (quando non vittima) della violenza e infelicità del genere umano.

Un’immagine del film EO.

«Merci», allora, è la parola con cui Skolimowski ringrazia i grandi autori francesi, da Bresson a Godard e Truffaut, che hanno creduto in lui e lo hanno ispirato. EO è anche e forse soprattutto un omaggio a loro (e nel cast troviamo una grande attrice d’Oltralpe, Isabelle Huppert), naturalmente nello stile del filmmaker polacco. Che ritroviamo, ad esempio, nell’uso espressionista del colore, in questo caso il rosso: «Oltre ad essere regista sono pittore, il colore mi interessa molto e mi rendo conto che influenza molto l’emotività di chi guarda. Per esempio, ne La ragazza del bagno pubblico, ho utilizzato moltissimo il giallo, perché si tratta di un film sulla gelosia. E siccome EO parla del senso di minaccia per qualcosa che potrebbe accadere, ho pensato che il rosso potesse restituire molto bene il pericolo».

Più di ogni altra cosa, però, colpisce in EO l’intensità dell’asino (candidato non per nulla tra i migliori interpreti ai Ciak d’oro internazionali del 2022, organizzati da questo giornale). Ma come si sceglie “l’asino giusto” per un film come questo?

«Siccome è una coproduzione italo-polacca», racconta al riguardo Skolimowski, «ho guardato quali tipologie di asini c’erano in Italia, e la razza che mi ha colpito di più è quella dell’asino sardo, di un grigio molto chiaro con la criniera nera. Quando sono tornato in Polonia per le riprese ho scoperto che lì c’erano solo due esemplari di asino sardo, un maschio e una femmina, quindi li ho impiegati entrambi. Abbiamo proceduto così: durante le prove prima delle riprese io e la coppia di asini partivamo da un punto A per raggiungere un punto B, poi al punto B lasciavo la femmina e tornavo col maschio al punto A, quindi lui si muoveva da solo per tornare dalla femmina. E quando a Cannes ho ritirato il premio, mi sono inchinato ringraziando per nome i miei asini. La giuria non era entusiasta del mio discorso, ma il pubblico sì!».