Venezia 80 – Ferrari, la recensione del film di Michael Mann

0
Ferrari

IL FATTO – 1957: un anno terribile per Enzo Ferrari, segnato dalla morte di suo figlio Dino, da una serie di tragedie in pista, dal dissesto finanziario della sua azienda e dal rapporto usurato con la moglie, da tempo sostituita da un’altra donna con cui il Drake ha avuto anche un figlio. Tutto questo mentre incombe la Mille Miglia, la corsa che potrebbe salvare la Ferrari dal fallimento. E anche lo stesso Enzo.

L’OPINIONE – Fa bene Michael Mann a dire che Ferrari non è un biopic. È un melodramma in forma d’opera lirica, cosa che d’altronde esplicita lui stesso nel film.

Ossessionato da anni dalla figura del Drake, con cui sente probabilmente anche delle affinità caratteriali (il regista americano è noto per il suo carattere spigoloso e autoritario), Mann condensa in una bolla spazio-temporale l’uomo e il suo rapporto con la macchina, intesa come entità quasi sovrannaturale, e la vita, quella sì difficile da progettare a tavolino.

LEGGI ANCHE: Michael Mann: «La storia di Enzo Ferrari un melodramma umano e universale»

Ne viene fuori un ritratto veritiero di un uomo diventato leggenda grazie alle sue auto e ai successi dalle stesse conseguiti, ma per sempre segnato nell’animo dal prezzo che ha dovuto pagare per arrivare a sfiorare il cielo con un dito. Non è il Michael Mann a cui siamo abituati, c’è più maniera e meno stile, che quando viene fuori è però come sempre inconfondibile.

La sequenza della serata all’opera, con scelte di montaggio e di macchina che da sole raccontano quattro diversi stati d’animo. I confronti con la moglie, con una gestione magnificamente classica del campo-controcampo. La scena iniziale, un falso materiale di repertorio che sembra strizzare l’occhio alla News on the March di Quarto potere.

Ferrari viene d’altronde raccontato da Mann come un Charles Foster Kane dell’industria automobilistica, un padre padrone costretto dai dolori patiti dalle molte perdite subite nel corso della vita a impermeabilizzarsi dai sentimenti. Perché se hai paura di piangere qualcuno, non puoi mandarlo a 250 all’ora su una bara con le ruote.

LEGGI ANCHE: Venezia 80, tutti i film della selezione ufficiale (DIRETTA)

Pur essendo lontano dai fasti artistici di Collateral, Insider, Heat, ma anche dell’ultimo, e inspiegabilmente sottovalutato e invisibile Blackhat, Ferrari è comunque un film diretto da uno dei più grandi cineasti degli ultimi quarant’anni. Se a questo aggiungiamo l’eccellente interpretazione di Adam Driver, la cui non somiglianza fisica con Enzo Ferrari è in realtà un supporto per affrontare il personaggio con una visione molto personale, e quella altrettanto efficace di Penelope Cruz nei panni della moglie Laura, allora il gioco è fatto. Ferrari è un film concettuale, le cose che non si vedono sono quasi più importante di quelle che vediamo sullo schermo. E questo lo sanno fare solo i grandi cineasti.

Due importanti segnalazioni. La prima tecnica: il sound design darà piacere fisico agli amanti dei motori. La seconda artistica: Lino Musella, che qui interpreta Sergio Scaglietti, il designer delle Ferrari di quegli anni, è un attore magnifico.

Se vi è piaciuto Ferrari guardate anche: parlando di film sul Motor Racing e di splendide ossessioni, Les Mans di Steve McQueen, il film che gli stroncò la carriera e di cui solo oggi, dopo 50 anni, si può apprezzare la modernità. E la follia.

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO:
venezia-80-ferrari-la-recensione-del-film-di-michael-mannIL FATTO – 1957: un anno terribile per Enzo Ferrari, segnato dalla morte di suo figlio Dino, da una serie di tragedie in pista, dal dissesto finanziario della sua azienda e dal rapporto usurato con la moglie, da tempo sostituita da un’altra donna con...