“Ammore e malavita”, il musical dei fratelli Manetti che conquista Venezia 74

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ammore e malavita

Braccato dai rivali, Don Vincenzo Strozzalone (Buccirosso), “o ‘re del pesce” nonché spietato boss, su consiglio della moglie (Claudia Gerini): “perché non fai come James Bond in 007 si vive solo due volte?”, simula la sua morte per rifugiarsi nella “panic room” di casa e progettare una definitiva fuga ai tropici. L’idea è di tenere la cosa nascosta a tutti e dividere il suo impero tra i tre luogotenenti, Gennaro (Franco Ricciardi che è un ottimo cantante, detto en passant) e le due tigri Rosario (Raiz) e Ciro (Morelli), amici fraterni. Ma quando l’infermiera Fatima (Serena Rossi) lo scopre vivo e dolorante su una barella, Don Vince’ lancia l’ordine: “accidetela!”. Senonché Ciro, killer malinconico, scopre che si tratta del suo antico amore di gioventù. Cosa avrà la meglio? La passione o il dovere?

Musical, gangster movie e sceneggiata napoletana: dal cocktail potrebbe sortire una mistura indigeribile, invece Amore e malavita è umoroso, allegro, colto, che si sfarina solo un attimo nella terza parte prima di un prefinale godurioso che miscela un duello alla John Woo con un pezzo soul cantato dai protagonisti. In mezzo tanta ritmata musica soul-funky-melodica (musiche Pivio-De Scalzi, liriche di Nelson) che impatta comicamente con la serietà dei viluppi della trama (c’è anche un duetto in napoletano puro sul celebre brano da Flashdance!) assai ben congegnata. Dialoghi effervescenti (spesso ironicamente seri) che la brillantezza degli interpreti, a partire dagli enormi Carlo Buccirosso e Claudia Gerini, porta a livelli di super commedia (mentre le sparatorie ci danno dentro come fossimo in Gomorra – magari citata parodisticamente – o in un Hong Kong Movie).

La cultura cinefila dei Manetti Brothers  (Piano 17, L’arrivo di Wang, L’ispettore Coliandro, Song ‘e Napule) si esalta nelle gag come nel personaggio della moglie di Don Vincenzo, Donna Maria, lady “core e malizia” che non ha scordato le sue origini da cameriera (e la sua difesa della categoria in uno scatenato e spiritoso rhythm and blues omaggia quasi l’Aretha Franklin nei Blues Brothers). Operazione insomma per cultori del trasversalismo dei generi che i due registi titillano trasfigurando il pulp e le pratiche basse della produzione con uno spettacolo sorvegliatissimo di pura classe autorale, un’operazione forse non inedita dalle nostre parti (a partire dall’arguto cinema di Roberta Torre), ma che qui riesce a soddisfare al meglio l’epos nazional-popolare (anzi regional-popolare) con la ricerca di virtuosismi e peculiarità originali degli appassionati più attrezzati.

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