Bergamo ha detto 33. Tante sono le stagioni di uno degli appuntamenti ormai storici del nostro calendario cinematografico. Dopo qualche anno travagliato, giusto per riconsiderarsi e riorganizzarsi, il combattivo e resistente Bergamo Film Meeting dal 7 al 15 marzo presenta il suo programma. Oltre al Concorso, agli omaggi a Pavel Koutsky e al cinema al femminile di Andrea Arnold, Aida Beric, Agnes Kocsis, Teresa Villaverde, alla sezione non fiction “Visti da vicino” e al rapporto tra schermo e palcoscenico di “Dopo la prova” (questo per citare solo i rami più importanti), fa del poliziesco alla francese, la retrospettiva fiore all’occhiello dell’edizione.
âIl Polar. Nascita e formazione di un genereâ. Ovvero: 20 lungometraggi dal 1940 ai primi ’60. Praticamente l’occasione per riscoprire le radici della particolarissima declinazione nazionale che i nostri cugini hanno dato a quello che internazionalmente viene chiamato noir (peraltro altro termine francese, come è giusto che sia visto che è stato l’americanofilo acume dei critici d’oltralpe a âselezionare e riunireâ con definizioni, ambiti e descrizioni il genere).
In effetti non si potrebbe parlare di confini stilistico-tematici certi per il polar (il termine deriva dalla fusione di “policier” e “noir” e si riferisce anche alla letteratura). Si tratta di un territorio dai contorni indefiniti; temporalmente diciamo che è stato nutrito dal cinema realista del fronte popolare prebellico (anche se i più pignoli degli storici assegnano a Mission a Tanger del 1949 di Andre Hunnebelle il ruolo del capostipite del filone) oltreché naturalmente dal cinema di Hollywood, per sconfinare continuamente nei decenni successivi e più prossimi a noi verso l’horror, la commedia, la parodia, l’action a seconda delle mode e delle inclinazioni. Sicuramente questo tipo di poliziesco è contraddistinto, rispetto ai âcolleghiâ internazionali, dalla sua quasi sottolineata francesità del tutto peculiare (parigina o provinciale che sia l’ambientazione). Modi di dire, tic, caratterizzazioni, ambienti (i bistrot), atmosfere particolari, persino il languore delle musiche: il polar âpiùâ classico (ci si passi il termine) è impregnato da segni e cliché da diventare prodotto quasi ricercato, oggetto di squisito piacere intellettuale da parte dei suoi numerosissimi fan/fruitori. Cineasti straordinari come Clouzot, Melville, e più avanti Malle, Truffaut e Chabrol lo hanno elevato, raffinato e trasfigurato; attori come Fresnay, Jouvet, Gabin, Ventura, Belmondo, Delon, Reggiani, Simone Signoret, Jeanne Moreau lo hanno reso mitico.
Bergamo pesca tra il meglio del ventennio d’oro del polar e ce lo ripropone nella sua più decisa e articolata affermazione riconoscibile di genere. La rassegna apre con il raro L’ultimo dei sei (1941) di Georges Lacombe che ha come merito distintivo soprattutto la sceneggiatura del futuro maestro, il geniale e tromentato Henri-George Clouzot che qui ritroviamo omaggiato con L’assassino abita al 21 (1942, quasi una commedia in tempo di guerra) e soprattutto con il capolavoro Legittima difesa (1947), per poi chiudersi con l’altro grande Maestro âmaledettoâ, Jean-Pierre Melville, qui presente con il non felicissimo Le jene del quarto potere (1959) e con il capolavoro assoluto Lo spione (1962, probabilmente la più bella prova d’attore di Belmondo).
Tra i due titani, ecco grandi artigiani e piccoli maestri: Christan-Jaque (Lo spettro del passato, 1946), un Henri Decoin tutto da riscoprire (La fille du diable, 1946, Condannatemi!, 1947, Tra le undici e mezzanotte, 1949), l’americano transfuga Jules Dassin (il cult Du rififi chez les hommes, 1955), Robert Hossein (Gli assassini vanno all’inferno, 1955), l’amaro Henri Verneuil (Gli amanti del Tago, 1955), gli altrove comedièn Denys De La Patellière (Delitto sulla Costa Azzurra, 1957), Gilles Grangier (Scacco alla morte, 1958, Il vizio e la notte, 1958) ed Edouard Molinaro (Spalle al muro, 1958, Chi ha ucciso Bella Sherman?, 1961), più tre maestri purtroppo ora un po’ dimenticati ma da riscoprire con attenta devozione: Jacques Becker (il capolavoro Il buco, 1960), Claude Sautet (Asfalto che scotta, 1960), George Franju (Piena luce sull’assassino, 1961).
Come si nota dalle ultime date, era nel frattempo già esplosa la Nouvelle Vague che pure incrocerà e si infiltrerà spesso nel cammino del polar, con altre luci e altre contraddizioni (per non parlare degli âartigianiâ di successo Clement, Deray, Robert Enrico o un terzo âmaledettoâ, José Giovanni), ma è giusto che abbiano il loro spazio magari per una edizione successiva. Qui possiamo dire che, a parte qualche mancanza (La grande razzia di Decoin, Grisbi di Becker, Bob il giocatore di Melville, Il corvo e I diabolici di Clouzot), il panorama è raro quanto meraviglioso e corroborante. Dunque, imperdibile.