HUNGRY HEARTS

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Id. Italia, 2014 Regia Saverio Costanzo Interpreti Alba Rohrwacher, Adam Driver, Roberta Maxwell Sceneggiatura Saverio Costanzo Produzione Mario Gianani, Lorenzo Mieli Distribuzione 01 Durata 1h e 49′
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In sala dal 

15 gennaio

Mina e Jude si incontrano in una nauseabonda e claustrofobica toilette di un ristorante cinese a New York, si innamorano e si sposano sulle romantiche note di Tu ‘si na cosa grande. Poi lei rimane incinta e si convince che il suo sarà un bambino speciale, un “bambino indaco”. Pertanto andrà protetto dalla sozzura del mondo, tenuto lontano dai germi della strada, mantenuto puro con un’alimentazione fatta di vegetali e oli. Privato delle proteine necessario allo sviluppo, il bambino non cresce, e Jude, che fino a quel momento ha assecondato le ossessioni della moglie, si ribella.

Dopo La solitudine dei numeri primi Saverio Costanzo torna a indagare lo squilibrio tra mente e corpo (quel corpo che nella scena iniziale ha dato il peggio di sé, quasi un monito, un presagio), con una storia d’amore e patologia che ha la forza dell’archetipo. Ma se Alice ammalata di anoressia rifiutava il cibo, Mina invece ne è ossessionata, tanto quanto lo è la società occidentale che ha trasformato gli chef in capricciose stelle del firmamento mediatico, inzeppando i palinsesti televisivi di petulanti show culinari. Una ossessione sorda, quella di Mina, che si fa ideologia, intransigenza autodistruttiva, che non ammette dubbi o eccezioni e che la spinge a rinunciare a ogni traccia della propria femminilità.

A condurci in questa progressiva e solitaria discesa agli inferi resa quasi un thriller anche dall’uso del fish-eye che distorce l’immagine, sono due cuori affamati che rischiano di divorarsi, gli intensi Alba Rohrwacher e Adam Driver, entrambi Coppa Volpi a Venezia per la migliore interpretazione, baciati da una speciale alchimia e raccontati da Costanzo come in un film degli anni Settanta. Come nei suoi lavori precedenti, Costanzo si barrica con i suoi personaggi tra quattro mura, un microcosmo che diventa teatro di grandi battaglie interiori. Un po’ Mia Farrow di Rosemary’s Baby, un po’ Gena Rowlands di Una moglie, la Rohrwacher, qui più che mai capace di coniugare fragilità e determinazione facendosi misto di porcellana e acciaio, aggiunge umanità e dolcezza a un personaggio che nel romanzo del padovano Marco Franzoso, Il bambino indaco, da cui il film è tratto, è assai più sgradevole, incomprensibile e respingente.

Alessandra De Luca