Jake Gyllenhall alla Festa del Cinema: “Quando ho letto lo script di “I segreti di Brokeback Mountain” ho pianto»

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Dopo aver presentato ieri alla Festa del Cinema Stronger, il film per il quale quasi certamente si guadagnerà la seconda nomination agli Oscar (dopo quella per I Segreti di Brokeback Mountain), Jake Gyllenhaal è tornato all’Auditorium parco della musica di Roma per l’incontro ravvicinato con il pubblico.

A vederlo sul palco, sornione e sorridente sembra quasi incredibile che quest’attore di soli 37 anni abbia alle spalle una lista lunghissima di successi. Figlio d’arte – il padre è un regista, la madre una sceneggiatrice – il successo è arrivato quando era solo un ragazzo, con Donnie Darko. Le domande sono iniziate proprio da lì.

Secondo te perché Donnie Darko è diventato un cult?

Sicuramente perché è un film che si sviluppa su più livelli: ci sono gli aspetti sci-fi, e poi c’è la storia che è molto umana ma va anche al di la delle convinzioni, e finisce col toccare davvero, si prova empatia guardando il film. Ovviamente all’epoca nessuno sapeva che sarebbe diventato un cult, certo un po’ ci speravamo. Quando lavori a un film speri sempre che lo vedano tutti. In quegli anni stavo facendo i miei primi lavori, ero giovane e quasi non conoscevo il business che si nasconde dietro ai dei film. Ma ho aderito subito al progetto perché mi piaceva che trattasse il passaggio dall’adolescenza all’età adulta in maniera diversa. All’epoca i film per attori della mia età erano tutti su i ragazzi che vanno alle feste o che frequentano le ragazze carine, rimanendo cioè solo in superficie di una realtà molto più profonda, e Donnie Darko scendeva in profondità.

Nella tua carriera hai fatto ruoli molto diversi tra loro, ma hai un genere preferito?

Non ho un genere che mi piace di più, forse sarebbe più facile. Sono affascinato dall’inconscio e dall’esperienza umana. non faccio mai un sogno che sia lo stesso e penso che fare film sia più meno lo stesso. È per questo che mi piace affrontare cose molto diversi tra di loro.

Quando ho girato I segreti di Brokeback Mountain l’ho fatto perché il sogno di ogni attore è fare un film con Ang Lee. Avevo sentito parlare della sceneggiatura che girava già da un po’, e volevo fare parte del progetto. Quando ho letto lo script e mi ha commosso tantissimo, mi ricordo di aver pianto. So che aveva in mente varie combinazioni di attori, so che alcuni attori erano un po’ spaventati, e tra le varie combinazioni c’eravamo Heath e me. Quando l’ho incontrato è stato un meeting molto strano, era seduto in un angolo mi ha fatto un cenno con la testa, abbiamo parlato un po’ e mi ha salutato. Un mese dopo mi è stato detto che avevo ottenuto la parte. Mi dicevano che sarebbe stato un rischio per la mia carriera quel ruolo, ma per me era una solo una storia d’amore, e così l’ho appoggiata, senza giudizi o pregiudizi.

Oggi il mondo dello spettacolo è diverso ci sono tantissimi show che parlano di storie d’amore omosessuali. All’epoca non era così almeno nella cultura più pop. Ora non so cosa sta succedendo in America, è un momento molto confuso, si sente un po’ di decadenza della cultura e la cosa mi spaventa ma allo stesso tempo mi rende più forte e mi fa voler raccontare ancora più storie. Non so se le cose siano cambiate anche grazie a quel film ma forse ora siamo pronti ad accettare perché sono giuste, perché sono amore.

L’altro giorno Christoph Waltz ha detto che non improvvisa nulla. Tu sei uno che improvvisa?

Credo nel rispettare il testo ma anche nel rispettare il momento, il partner che è con te, l’energia che si crea, che il regista fa ricreare, e ci sono tante cose che non sono scritte. In alcuni film non ho tralasciato neanche una parola, esitazioni comprese, che erano presenti in sceneggiatura. In altri invece ho abbandonato il testo mantenendo l’essenza. Per me l’unica parola d’ordine è preparazione, mi preparo mi preparo mi preparo, la libertà sta oltre la disciplina. Ne Lo Sciacallo, ad esempio, avevo ben in mente il tipo di personaggio che avrei creato, avevo capito che forza lo animava, il tipo di energia e ritmo che avrebbe animato certi monologhi, come se fossero delle stilettate e frutto di una riflessione attenta del mio personaggio, non frasi estemporanee. Ero super concentrato quando giravamo, al punto che se ci fate caso non sbatto mai gli occhi, come un animale che fissa la preda. Ma la cosa che voglio dire su quel film, è il fatto che mette in scena come i media diano al pubblico ciò che il pubblico vuole. Molti nel mezzo dicono anche la verità, ma alla fine è la collettività che finisce per definire ciò che si vede e si legge nel giornalismo. Ed è una cosa molto spaventosa.

Il tuo film italiano preferito?

La Strada di Fellini. Ha un posto speciale nel mio cuore perché è questo film che convinse mio padre che la sua strada fosse quella del cinema. E se lui non avesse sviluppato l’amore per il cinema non me lo avrebbe trasmesso e io oggi non sarei qui. Dovessi lavorare con un regista del passato lavorerei con Fellini. Tra i registi viventi invece, sogno di lavorare con Pedro Almodóvar.

Maria Laura Ramello

(foto di Pietro Coccia)

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