Mute, Duncan Jones: “Il film è ambientato a Berlino come omaggio a mio padre, David Bowie”

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Mute

Come immaginate l’Europa tra più di trent’anni? Siamo stati a Potsdam, dove per Mute, nuovo film di Duncan Jones, è sorta una cupa e magnifica Berlino del futuro, ogni cosa costruita con incredibili dettagli reali, nei leggendari Babelsberg Studios, dove Fritz Lang girò Metropolis. Le straordinarie scenografie sono griffate Gavin Bocquet, ex collaboratore di George Lucas. Ci troviamo dunque a Berlino, un giornale (cartaceo!) ci fa
capire che è l’ottobre del 2052. Nell’enorme discoteca Foreign Dreams si svolge una festa libertina.

Musica dance a palla, una variopinta e chiassosa folla notturna, ambiguità sessuali, donne in mascherine e minigonne, persone sui trampoli, nani e ballerine svestite. Si mescolano stile vintage, art déco, dettagli circensi e megaschermi dappertutto, un po’ alla Blade Runner. Schermi ovunque, perfino alla toilette. Anzi, tra i luoghi reali-ricreati c’è l’orinatoio maschile del locale dove, grazie alle pareti-schermo, scorrono costantemente le immagini di una spiaggia esotica, a grandezza naturale, sull’Oceano. Proprio in questo club ha appena trovato lavoro come barman Leo Beiler (Alexander Skarsgård), un uomo mite e diventato muto in seguito a un incidente subìto da ragazzino. Si trova nei bassifondi perché è sulle tracce della donna che ama, scomparsa misteriosamente, e alcuni indizi lo hanno guidato fin qui. Il locale è controllato da due ex chirurghi dell’esercito, reduci di guerra – simpatici, quanto pericolosi e costantemente su di giri – Duck (Paul Rudd) e Cactus (Justin Theroux).

Benvenuti dunque nell’universo di Mute! Uno dei film più attesi della fantascienza indie contemporanea, ideale seguito di Moon (Sam Rockwell, protagonista dell’opera prima di Jones, compare in molteplici camei). Dal 23 febbraio è visibile su Netflix, che lo ha prodotto insieme a Liberty Films. Racconta Jones, in esclusiva a Ciak: «Io e il
coproduttore Stuart Fenegan pensavamo a questo progetto da oltre tredici anni! Ne abbiamo anche realizzato una graphic novel che doveva essere pubblicata dalla Dark Horse Comics, ma è rimasta inedita. L’idea di ambientarlo a Berlino è nata nel tempo. È una città in cui ho abitato per diversi anni, che amo e che era molto cara a mio padre (David Bowie, al secolo David Robert Jones, nda)!». Il protagonista Alexander Skarsgård rivela: «Sono
molto pigro e quando Duncan mi ha proposto il personaggio del muto ero entusiasta e ho pensato: “fico, non devo imparare a memoria nessuna battuta”! In realtà è forse il set più impegnativo in cui mi sia mai trovato, perché tutto quello che “non dico” a parole, devo saperlo esprimere con lo sguardo e con il corpo».

Paul Rudd nel film compare molto tatuato e con baffoni alla Elliott Gould in Mash. «Il mio trucco quotidiano», racconta Rudd, «consiste nel farrinfrescare ogni tanto i tatuaggi finti, mentre i mustacchi me li sistemo da me. Il difficile è rimetterli a posto a dovere, dopo che le gocce di birra tedesca bevute restano imbrigliate sui peli (ride, nda)!». Il suo compare è un irriconoscibile Justin Theroux, parrucca bionda e occhialetti nerd: «La prima volta che mi sono visto allo specchio conciato così non mi riconoscevo proprio!».

Il finale del film pare sia aperto a un possibile seguito in caso di successo, a comporre una vera e propria trilogia sci-fi con Moon. Il futuro immaginato da Duncan Jones sta per schiudersi ai nostri occhi.

Luca Barnabé