“Song to Song”: l’ultimo Malick, rock e spirituale

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Usa, 2017 Regia Terrence Malick Interpreti Ryan Gosling, Rooney Mara, Michael Fassbender, Natalie Portman, Cate Blanchett, Holly Hunter, Bérénice Marlohe, Patti Smith, Val Kilmer Distribuzione Lucky Red Durata 2h e 9’

Al cinema dall’11 maggio 2017

IL FATTO – Due storie d’amore si intrecciano all’interno del mondo della musica rock, ad Austin (Texas) e dintorni. Tra il musicista BV (“Fare del mio meglio per non dire cose che non voglio dire”) e la elusiva aspirante cantautrice Faye (“Ogni bacio sembrava la metà di quello che dovrebbe essere”) si stabilisce un legame intenso e passionale, che va in crisi quando si scoprono le ritrosie e le insincerità di entrambi. Tra il manager manipolatore e affamato di vita Cook (“qualunque esperienza è meglio di nessuna esperienza”) invece la relazione con la ex cameriera Rhonda è più torbida e superficialmente sensuale, salvo ferire in profondità la ragazza (“mi spaventi. Vieni più vicino”).

L’OPINIONE – Almeno una cosa si può dire senza smentite: il cinema di Terrence Malick è tanto complicato e denso sino all’intasamento quanto originale, decisamente solo suo. Gira tantissimo, taglia e monta a brevi pennellate, togliendo ai dialoghi (e soprattutto ai commenti in prima persona delle rispettive coscienze) quasi ogni aggancio e riferimento tipo causa ed effetto, come fosse una fluida rapsodia di impressioni, squarci, immagini spesso di folgorante bellezza. Sicuramente è uno dei pochi a fare cinema spirituale (su un Dio di cui si sente la necessità soprattutto per l’assenza), che salmodia melanconicamente la precarietà della vita, con tutti i personaggi sempre in cerca di un centro di gravità permanente che trovano solo quando riconoscono la priorità inebriante dell’amore e della vita semplice. Comunque tutti gli attori emergenti e anticonformisti sembra facciano la fila per lavorare con lui (fatto che comunque fa curriculum). In effetti il cast fa impressione: Gosling, Mara, Fassbender, Portman e Miss Blanchett in primo piano e poi camei fluttuanti di Holly Hunter, Val Kilmer, Iggy Pop, Patti Smith (particolarmente prodiga di consigli), John Lydon.

Che dire? Malick prende uno schema in fondo molto terra terra, quasi banale (il musicista puro e il manager sfruttatore, la ragazza in cerca di sé e quell’altra anima fragile) mescolando però tutte le carte con riprese inusuali, alternando punti di vista strani a inquadrature con lenti “occhio di bue”, immagini di uccelli e altri animali con sequenze che sembrano a volte filmati fuori scena, corpi che si inarcano e tempi che si mischiano con discontinuità. Da tempo il suo cinema tra il kitsch e il religioso (detto con stima), tra il mèlo e il documentario, è fatto così e spesso gli è venuto peggio va detto (vedi To the Wonder o Knight of Cups). Anche qui, per la prima ora palpiti, ti entusiasmi, pensi di essere di fronte a un capolavoro di intensità e ricerca visiva, dopo un’altra mezz’ora pensi “bravo ma basta!”, verso la fine, quando si tira pure la morale, tendi anche un po’ a irritarti di brutto. Amen. Ah dimenticavo: la colonna sonora è splendida, con scelta di brani classici e rock di altissimo livello e “resa atmosferica”.

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