
35 film in 36 anni: una la vittoria della Palma d’oro a Cannes all’esordio con Sesso, bugie e videotape nel 1989 (Wim Wenders era il presidente della giuria, lo preferì a Nuovo Cinema Paradiso) e l’Oscar per la migliore regia con Traffic, ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato. Scorrendo la filmografia di Steven Soderbergh sono tanti i film degni di nota, svariando tra quasi tutti i generi (gli manca solo il western), osando l’inosabile (il coraggioso e riuscito adattamento di Solaris), sperimentando nuove forme di linguaggio e di nuove forme di linguaggio e di nuove forme di linguaggio e di ripresa. Forse è stato questo suo moto perpetuo a spiazzare la stessa industria a cui tanto ha dato.
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Solo in questo inizio del 2025 due film, l’horror tutto in soggettiva Presence, film particolarissimo e dal budget contenuto (che arriverà a luglio in Italia, ma noi lo abbiamo visto e recensito al Noir in Festival 2024), e Black Bag, intrigante sintesi tra Carnage e proprio il suo film d’esordio, con un cast di prim’ordine: Michael Fassbender, Cate Blanchett, Naomi Harris, Regè-Jean Page, Tom Burke e Marisa Abela. Tutti impiegati in diverse sezioni del servizio segreto britannico e coinvolti, in un modo o nell’altro, in una macchinazione che potrebbe cambiare gli equilibri del mondo. Ma soprattutto, della coppia formata da George e Kathryn, marito e moglie, il primo incaricato di scoprire se la consorte è una traditrice della patria e delle promesse matrimoniali. Entrambi i film di questo 2025 vedono Soderbergh lavorare con lo sceneggiatore David Koepp, con cui aveva già collaborato per Kimi, nel 2022. Koepp ha firmato, tra gli altri, La guerra dei mondi di Spielberg, Panic Room di David Fincher e il primo Mission: Impossible, diretto da Brian De Palma.
Black Bag è arrivato nelle sale italiane il 30 aprile, distribuito da Universal Pictures Italia. Ciak ha avuto il piacere di incontrare Steven Soderbergh a Londra, dove il film è ambientato, per una lunga conversazione che ci ha dato l’opportunità di scoprire qualcosa in più di uno dei più grandi cineasti degli ultimi quarant’anni.
Partiamo dalla durata di Black Bag: 93 minuti.
David e io sentivamo di voler essere essenziali e mantenere l’ambito ristretto. Lui è uno scrittore molto abile nel far interagire molti personaggi e sviluppare storie in 92-93 minuti. Se avessimo voluto fare un film di due ore avremmo dovuto introdurre un nuovo filo narrativo e altri personaggi, e non volevamo. La sceneggiatura non era lunga, 106 pagine. È stato il nostro istinto a dargli questa durata, e c’è un altro vantaggio. In futuro, quando la gente penserà al film e valuterà se guardarlo di nuovo, la durata aiuterà nella scelta. E per me questo aspetto è molto sexy. E comunque non c’è niente di sbagliato in un film di 3 ore e mezza, se è quello che deve essere.

Il New Yorker ha pubblicato un articolo a proposito del fatto che oggi i film spiegano troppo.
Oh, l’ho letto, è interessante. È indubbiamente un modo per sedurre lo spettatore facendogli desiderare di essere dentro alla narrazione, ma è una seduzione che non fa per me, l’eccessiva chiarezza implica una mancanza di ambiguità. Il mio standard è che il pubblico può capire tutto quello che posso capire io. È semplice. E credimi, ho fatto cose che io stesso non ho capito e con cui ho dovuto fare i conti. In ogni modo, questo è l’unico orizzonte su cui posso contare.
Il genere spionistico è sempre popolare, ma Black Bag in realtà parla di fiducia, relazioni, inganno, tradimento e bugie.
Perché è un genere efficiente, durevole e flessibile, che puoi riempire con le cose che ti interessano. E se rispetti le fondamenta del genere e trovi un modo per mantenerlo fresco, diventa il cavallo di Troia per parlare di relazioni. In questo caso della fiducia che si deve riporre nel proprio partner, e il discorso è amplificato dal fatto che la coppia opera in questo particolare settore. In più abbiamo voluto fare un’evoluzione, questo genere particolare parla di spie con un bell’appartamento, in cui c’è molto spazio per lavorare, fisicamente e filosoficamente.
Black Bag è sempre stato pensato come un film di spionaggio di ambientazione britannica, o inizialmente aveva pensato agli Stati Uniti?
Ho pensato che Londra sarebbe stata una location migliore, una considerazione nata anche da una conversazione tra me e David sull’estetica del film. Quindi è stata una decisione di carattere cinematografico, ma sempre pensando di fare un film hollywoodiano. E per farlo meglio, la scelta giusta era andare a Londra, per quanto paradossale possa sembrare.
In un’intervista ha detto che ogni film che ha realizzato lo ha fatto per affrontare una sfida come regista. Qual è stata la sfida principale questa volta?
Le due lunghissime scene a tavola, in cui nessuno si alza dal proprio posto. È un vero e proprio rompicapo per un regista. È in cima alla lista delle cose che non si amano girare, c’è una ragione, e noi lo abbiamo fatto due volte. Questa è stata la sfida. Fortunatamente, mi sentivo preparato perché la mia carriera è basata su persone che parlano in una stanza. È l’arena più drammatica in cui ci si possa trovare, un’interazione unica e potente.
Come le ha girate? C’era più di una camera, e di che tipo? E con quanti tagli?
Ho diviso la scena in sezioni che ho girato in sequenza cronologica. Una volta finita una sezione, che prevedeva una serie di inquadrature singole e di totali, andavamo avanti. Quando possibile, assolutamente ho usato due camere, le Red, che sono molto maneggevoli. Per l’illuminazione ho scelto due schemi molto diversi. Le luci della prima cena devono essere invitanti, in contrasto con i toni narrativi oscuri del perché queste persone siano riunite attorno a un tavolo. La seconda è più scientifica, con una luce esplicita e non accogliente, perché è il momento di togliere i guanti e smettere di nascondersi. La cosa importante è che il pubblico capisca queste sfumature senza rendersene conto.
Black Bag è un’altra variazione su sesso, bugie e videotape. Perché è così affascinato da questi tre elementi?
Altra domanda difficile. Il tradimento è molto cinematografico, ha un forte senso architettonico. Quando si tratta di scrivere una storia, deve avere determinati requisiti che me la faccia piacere. Ma potrei anche dirti che uno dei film a cui ho pensato mentre preparavamo Black Bag è stato Notorious, che è un film semplicemente bellissimo, intelligente e sexy. È uno dei miei preferiti di Alfred Hitchcock.

Cos’è che funziona così bene tra lei e David Koepp?
Il rispetto reciproco, la sensibilità condivisa e i gusti simili. Mi piacciono le persone il cui processo è aerodinamico e la cui unica preoccupazione è ciò che accade e che deve essere in continua evoluzione. Tutto il resto è secondario. È una buona maniera per fare cinema, perché è economicamente efficace, e lo intendo nel senso che tutto quello che viene girato va a finire nel film, e questo fa sì che tutta la troupe lavori con un entusiasmo maggiore, perché niente del loro lavoro andrà perduto. In questo modo si lavora velocemente, e se al montaggio ti accorgi che manca qualcosa, fai in tempo a tornare indietro e girare quello che serve. E questo è un lusso anche per gli attori.
Qual è la cosa migliore e quella peggiore del lavorare nel cinema per lei?
Il montaggio è sempre la parte migliore. La parte peggiore è la preparazione. È noiosissima. Non ho ancora trovato un metodo per renderla più efficace. Il mio obiettivo è non dovermi preoccupare di niente e di nessuno. Se la sceneggiatura funziona e abbiamo scelto bene gli interpreti, allora va bene. Penso che sia la ragione per cui cerco di non parlare troppo sul set. Perché se l’incantesimo funziona, non bisogna spezzare la magia dicendo che sta andando tutto bene.