Call My Agent – Italia, la recensione della serie Sky

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Call My Agent - Italia

Non chiamiamolo remake. Call My Agent – Italia non necessita confronti con l’originale francese, e men che meno con le altre versioni già realizzate in giro per il mondo.

Certo, l’impianto è quello, ovvero la quotidiana e folle vita in un’agenzia di talent management. Ma per quanto si possa pensare che il meraviglioso mondo dello show business sia ovunque uguale, così in realtà non è. Questioni meramente culturali, l’Italia non è la Francia e quest’ultima non è Hollywood. E anche economiche, perché il volume finanziario dell’industria è diverso e, di conseguenza, anche i rapporti tra agenti e assistiti.

Quello che non cambia è la gestione di persone che per professione devono avere un ego importante, oltre alle loro manie, abitudini e sì, anche valori e sentimenti.

Si fa sempre la battuta, parlando di chi di mestiere intrattiene il pubblico, che una volta non venivano neanche seppelliti in terra consacrata. C’è invece tanto affetto nei confronti dei suoi artisti da parte di Lisa Nur Sultan, sceneggiatrice fresca del successo di Beata te e della serie legal Studio Battaglia.

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I vari, in ordine sparso, Favino-Cortellesi-Sorrentino-Guzzanti-De Angelis-Accorsi divertono e soprattutto si divertono, a prendere in giro loro stessi e il dorato mondo dello spettacolo in cui vivono. Un ambiente in cui l’apparenza e la presenza sono tutto, ma dietro le quinte ci sono loro, gli agenti (e aggiungerei anche gli uffici stampa, per cui forse servirebbe una serie dedicata) che sono confessori, complici, fratelli, sorelle e genitori.

Lisa Nur Sultan descrive questo mondo con precisione, aggiungendovi quel necessario tocco surreale, ma come direbbe Stanis La Rochelle molto italiano, che fa di Call My Agent – Italia un prodotto slegato dal prototipo transalpino, che naturalmente era molto francese.

I due sono però accomunati da molti pregi: scrittura veloce, battute fulminanti, cast perfettore, gia dinamica che sa prendersi anche il tempo necessario per riflettere sul folle quotidiano di chi non ha una sola vita, ma molte. Vale per gli agenti e per gli attori, maschere al servizio di un pubblico molto esigente.

C’è tanta commedia dell’arte in Call My Agent – Italia, e anche tanta malinconia ben riposta, quella per un mondo che si è trasformato lasciandoci in eredità leggende. L’ultima battuta della stagione, che non sveliamo, è così bella che fa piangere, e fa tornare indietro in un tempo in cui, dicono, i soggetti si scrivevano sui tovaglioli del bar e si scambiavano per amicizia o convenienza. Racconti di un tempo che fu, come lo saranno quelli del cinema e della televisione di oggi.

Affiancando Call My Agent – Italia a Boris, complementari con strutture narrative diversissime, possiamo avere un quadro, sarcastico certo, ma meno di quanto possa sembrare, dell’attuale panorama di un’industria che, per fortuna, ha ancora voglia di prendersi in giro. Il problema vero, nella vita e nell’arte, è prendersi sul serio.

Un piccolo post scriptum, con gli occhi umidi: negli uffici della CMA c’è appeso il poster di Figli.

Mattia Torre si sarebbe fatto tante risate. E avrebbe avuto voglia di farsi prendere in giro pure lui.

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO:
call-my-agent-italia-la-recensione-della-serie-skyNon chiamiamolo remake. Call My Agent – Italia non necessita confronti con l’originale francese, e men che meno con le altre versioni già realizzate in giro per il mondo. Certo, l’impianto è quello, ovvero la quotidiana e folle vita in un’agenzia di talent management. Ma...