Viggo Mortensen (New York, 20 ottobre 1958), più che un attore spicca come una persona dal talento multiforme, che sa anche recitare e bene. Le biografie infatti lo citano come fotografo, musicista, poeta, militante delle migliori cause pacifiste, pittore e non di scarso livello. Certo la fama lo ha accolto tra le sue braccia come attore (prima apparizione nel 1985 in Il testimone di Peter Weir) e la sua professionalità, il suo impegno e il suo fascino virile (nel 2002 era considerato tra le star maschili più belle del mondo) gli hanno garantito un posto stabile tra le personalità che contano nel mondo del cinema (eternamente candidato ai premi più ambiti, 112 nominations e 37 allori); ma alla carriera ha spesso anteposto la pienezza di una vita serena, tanto che se lo cercate, più che a Hollywood o New York, dovete andare in Spagna, dove convive dal 2009 con la collega Ariadna Gil.
Ecco quali sono per noi, all’interno di un curriculum di 56 opere, le sue 5 interpretazioni più significative, escludendo ovviamente l’ultima, quella dell’autista italo-americano di Green Book, per cui ha ricevuto la sua terza nomination agli Oscar (e speriamo che sia la volta buona).
IL SIGNORE DEGLI ANELLI – LA COMPAGNIA DELL’ANELLO
(The Lord of the Ring, Nuova Zelanda/USA 2001). Di Peter Jackson.
Chi potrà mai scordarlo nei panni di Aragorn, l’uomo che accanto allo stregone Gandalf, elfi, nani e naturalmente gli hobbit, affronterà l’epocale minaccia del ritorno del Signore di Mordor? Primo capitolo della trilogia tratta dalla saga di Tolkien, è un capolavoro (4 Oscar) che ci ha regalato personaggi destinati al culto non solo di fan e cinefili, seguito da due sequel dal successo altrettanto clamoroso.
LA PROMESSA DELL’ASSASSINO
(Eastern Promises, USA/G.B./Canada, 2007). Di David Cronenberg.
Seconda collaborazione delle tre con il maestro canadese, incastonata tra il magnifico A History of Violence (2005) e l’abbastanza deludente A Dangerous Method (2011). Qui recita (anche nudo, a mettere in mostra i 43 tatuaggi del suo Nikolaj Luzhin), nei panni di un tostissimo guardaspalle di un feroce clan russo che opera a Londra, in realtà un infiltrato della polizia. Per lui una nomination agli Oscar per l’interpretazione.
APPALOOSA
(id., USA, 2008). Di Ed Harris.
Western misteriosamente passato in sordina (questo almeno sicuramente da noi), in realtà storia originale di uomini rudi come la frontiera in cui vivono. Viggo, baffetti e pizzetto, è il partner di Ed Harris, pistolero ingaggiato come sceriffo per eliminare il tracotante boss pluriomicida Randall Tragg (Jeremy Irons). Colpisce la sobrietà, la pacatezza e la fedeltà del sentimento di virile amicizia che il personaggio di Mortensen sa mostrare. Quasi una lezione di etica per gli spettatori.
THE ROAD
(id. USA, 2009). Di John Hillcoat.
Da La strada, testo fanta-post apocalittico di un grande narratore, Cormac McCarthy. In una situazione disperata, con la Terra ridotta in un inospitale deserto percorso da un’esigua popolazione di disperati (cannibali, assassini, banditi), padre e figlio lottano per sopravvivere. Ma la lezione dell’uomo (senza nome) al ragazzo sarà sempre quella memore di un passato di civiltà, di correttezza, benevolenza e tolleranza.
CAPTAIN FANTASTIC
(id., USA, 2016). Di Matt Ross.
Tra i boschi dello stato di Washington, il vedovo Ben Cash cerca di allevare la propria famiglia lontano il più possibile dalla società del consumismo. Quasi un ultimo sopravvissuto dell’utopia hippie (ecologista, libertaria, laica e anticonvenzionale), tenero, disperato e a suo modo eroico. Impossibile non parteggiare per lui. Un’interpretazione potente ed emotiva, con tanto di seconda nomination agli Oscar.