Dopo aver aperto nel segno di Francis Ford Coppola, la Festa del Cinema di Roma 2024 presenta un altro dei suoi assi, e nel giorno della consegna del Premio alla Carriera è lo stesso Viggo Mortensen ad anticipare l’incontro pubblico in programma nella Masterclass di sabato 19 e a parlare del suo secondo film da regista. In programma nella sezione Grand Public, The Dead Don’t Hurt – I morti non soffrono uscirà nelle sale italiane il 24 ottobre 2024, distribuito da Movies Inspired, portando nei nostri cinema una “sfortunata storia d’amore“, come la definisce il premiato, “che si svolge sulla frontiera occidentale degli Stati Uniti, negli anni ‘60 dell’Ottocento“.
“Quello che accade in questa storia è che Holger incontra una donna, Vivienne Le Coudy, che gli somiglia molto” dice Mortensen parlando del personaggio interpretato da Vicky Krieps, una franco-canadese dallo spirito libero, che vive vendendo fiori a San Francisco. E per la quale tutto cambia dopo l’incontro con l’immigrato danese Holger Olsen, del quale si innamora e con il quale va a vivere a Elk Flats, una comunità di frontiera nel Nevada. Ma quando l’uomo decide di arruolarsi per andare a combattere nella Guerra Civile, Vivienne resta a cavarsela da sola e a dover resistere al corrotto sindaco Rudolph Schiller (Danny Huston) e al suo spregiudicato socio in affari Alfred Jeffries (Garret Dillahunt), ma soprattutto al figlio violento e sbandato di questo, che la perseguita in modo aggressivo.
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Dopo esser stato ispirato da delle riflessioni seguite alla scomparsa della madre per il debutto alla regia di Falling – Storia di un padre, nel 2020, in questa opera seconda – già presentata al Toronto Film Festival – Viggo Mortensen torna a citarla rivelando: “Questa storia è nata dal ricordo dei libri illustrati degli anni ‘30 che aveva mia madre e che leggeva da bambina, storie di cavalieri, avventure medievali. La immaginavo correre nei boschi d’acero vicino al confine canadese, dove era cresciuta, sognando di essere in quelle storie e conoscendo la sua personalità, di persona curiosa, forte, ho pensato a come sarebbe stata una donna come lei nel West, in una situazione difficile, e solo dopo, scrivendo, ho pensato che poteva essere un Western“.
Una fase che si è sviluppata in un momento decisamente particolare, per quanto fruttuoso…
Era il 2020, durante il lockdown per il COVID, e in quel momento vivevo in Spagna, a Madrid, uno dei posti del pianeta più colpiti dalla pandemia, per restrizioni e tasso di mortalità. Non potendomi muovere di casa e restando chiuso la maggior parte del tempo, ho scritto un paio di storie, e così è cominciata…
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L’esperienza di Falling l’ha aiutata in questo secondo film?
Quando ho fatto Falling avevo già 60 anni, erano tanti anni che volevo dirigere un film e non trovavo nessuno che lo finanziasse. Ma è stato un bene, perché nel frattempo ho lavorato con tanti bravi registi e ho imparato da loro. Non è stato cosi diverso dal fare un film come attore, visto che mi ha sempre interessato lo sforzo comune che porta dalla sceneggiatura allo schermo. Semmai, la seconda volta mi son fidato di più dei miei istinti. Ho ascoltato tutti, certo, ma alla fine ho fatto come volevo. Si deve essere aperti alla collaborazione, a volte improvvisare, ma stavolta ero più fiducioso della mia capacità di giudizio.
Dopo Alatriste, Appaloosa, Captain Fantastic e Green Book torna alla Festa di Roma per un Premio alla Carriera: l’occasione per un bilancio?
Per chi lavora raccontando storie al cinema, che sia un regista, un attore o altro, chiunque partecipi di questo sforzo collettivo, è qualcosa di piacevole e lusinghiero. Un riconoscimento come questo, in un festival importante, è fantastico. Sono molto grato, ma non perdo mai di vista il fatto che il lavoro sia una cosa e i riconoscimenti – ufficiali o meno che siano – sono altro. Sono incoraggianti, piacevoli, insoliti, speciali, ma non mi aiuteranno a fare un lavoro migliore. Così continuerò a fare quel che posso, e guardandomi indietro, pensando alle persone con cui ho lavorato, ai luoghi dove sono stato e le storie che ho raccontato, credo sia un tutto che si evolve, al di là delle singole esperienze…
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Anche se quella come Aragon ancora oggi rimane ben impressa nel pubblico
Lavorare nel Signore degli Anelli mi è piaciuto, resta un bel film, e una bella esperienza essere stato in Nuova Zelanda, aver imparato a fare questo lavoro, appena uscito dalla scuola. Anche quella mi ha insegnato a diventare un bravi cineasta, iconica o meno…
Quindi anche a creare personaggi di donne forti come quello di Vivienne, che significato o importanza possono avere oggi?
Quando scrivo una storia, o dirigo un film, il mio punto di partenza non è mai ideologico. Non cerco di fare una dichiarazione politica, ma di raccontare una storia e credo che qualsiasi storia che contiene persone che si sentano come reali, con problemi e conflitti reali, emozioni, è naturale che vengano legati ai tempi in cui viviamo. È qualcosa che succede a prescindere, e mi piace questo processo, che una volta presentato il film non sia più il mio film, ma del pubblico, che gli attribuisce le proprie esperienze e i punti di vista.
Un personaggio femminile forte è anche quello di Kamala Harris, attesa dalle elezioni negli Usa…
Kamala ha qualcosa della mia Vivienne, è forte interiormente, ma anche aperta e diretta. Sa difendersi, e non riescono a sottometterla psicologicamente. Credo che sarà un ottimo Presidente e che vincerà nel voto popolare, purtroppo il sistema statunitense è un sistema arcaico, non a favore del popolo, e questo potrebbe annullare e attenuare gravemente i risultati della scelta popolare. C’è da capire in quali Stati vincerà, ma mi auguro che la situazione cambi… In generale, in Italia, in Islanda, in Danimarca, in Gran Bretagna e altri paesi, sebbene ci siano stati dei Capi di Stato donne, nella società continua comunque a esserci una riluttanza – tra gli uomini e tra le stesse donne – a fidarsi del fatto che una donna possa essere forte quanto lo sono gli uomini. Per dimostrarlo una donna deve essere molto tosta, e un po’ cattiva. Cosa che non è vera nella nostra storia, visto che il film non è sullo sfruttamento o su una donna costretta a comportarsi come gli uomini ai quali si oppone.