Un altro grande esordio alla regia ieri alla Festa del Cinema di Roma, dove Patricia Arquette ha portato il suo Gonzo Girl nella sezione Grand Public. L’attrice e regista, premio Oscar nel 2015 per Boyhood di Richard Linklater e interprete per cineasti come Tony Scott (Una vita al massimo), Tim Burton (Ed Wood) e David Lynch (Strade perdute), ha scelto di portare su schermo una storia ispirata all’omonimo romanzo autobiografico di Cheryl Della Pietra in cui la scrittrice racconta la sua folle esperienza come assistente di Hunter S. Thompson, il padre del cosiddetto “gonzo journalism”, quel giornalismo che combina elementi di giornalismo convenzionale, impressioni personali e artifici narrativi.
«Ho messo molta della mia esperienza personale in questo film – ha raccontato a Ciak Arquette sul red carpet – Sono cresciuta in quella Los Angeles degli anni 90 nell’orbita della celebrità, ero una ragazza di bell’aspetto. Ma non era premeditato. Ho dovuto negoziare un po’ di quel mondo. E poi ho vissuto anche io quella ricerca di un mentore, essendo cresciuta in mezzo ad artisti. Mio padre era alcolista e io non sapevo chi fossi. Quando incontri una persona, ci sono momenti d’amore e momenti di dolore. Quella parte è venuta tutta da me».
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