Il mio nome è vendetta, Gassmann racconta la preparazione: «quattro mesi di allenamento, piatti di pollo e riso»

L'attore spiega a Ciak come si è calato nel suo primo crime-action, su Netflix dal 30 novembre

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Per Alessandro Gassmann divertirsi con il mestiere d’attore vuol dire anche esordire a 57 anni da protagonista di un crime-action diretto da Cosimo Gomez, Il mio nome è vendetta, disponibile su Netflix. Gassmann ha raccontato a Ciak la curiosa esperienza:

Un ex sicario cattivissimo. Non lo aveva mai fatto prima d’ora. Si è divertito?

Molto. E ho imparato tanto. È stato un film impegnativo ma era importante farlo bene perché era la prima volta che mi veniva chiesto di usare la mia fisicità per fare male ad altre persone. Con il vantaggio in realtà di non fare male a nessuno.

Oltre 70 film e nessun crime action. Che esperimento è stato?

Da ragazzino ero un po’ aggressivo. Un bullo. Ora sono il contrario, ma volevo capire se mi era ancora possibile usare quella parte violenta che è in noi e che avevo ben nascosto per tanto tempo. Devo dire che è ancora lì. Solo nel film, per fortuna. Ma mi ha fatto piacere per una volta usare la mia fisicità, il fatto che non sono proprio il vicino della porta accanto.

A 16 anni era buttafuori al Piper. Le è tornato alla mente quel periodo?

Sì. E ho ricordi bruttissimi. Mi sentivo diverso, ero sempre il più alto e avevo un cognome importante. Ero molto osservato, spesso avvantaggiato, e la cosa non mi è mai piaciuta. Questo scatenava la voglia stupida di prevalere senza l’uso del cervello. In alcuni miei ruoli c’è una dose di aggressività. Certo, non ne ho mai ammazzati così tanti.

Qui ne uccide 23.

Sì, e con sistemi diversi (ride). Mi sono divertito. È così raro nel cinema italiano poterlo fare. E farlo poi con grande qualità, perché il regista ha fatto un lavoro incredibile.

Qua e là si ha l’impressione di vedere un prodotto non italiano.

Perché siamo disabituati, ma ricordiamoci che con gli Spaghetti western e con i poliziotteschi degli anni ’70 abbiamo lanciato un genere che poi è stato imitato all’estero. Tarantino non farebbe i film che fa se non li avesse visti.

Si è allenato molto per stare al passo?

Quattro mesi per imparare coreografie e rimettermi in forma visto che non ho più 18 anni. Poi piatti di pollo e riso: che noia. Nel film peso quasi 100 chili.

Santo picchia duro e corre tanto.

La cosa più difficile è non farsi e non fare male. Poi io non sono agile, quando corro sono brutto da vedere. Troppo alto e scoordinato. Per questo sono andato sul cattivo monolitico che ti acchiappa e ti spezza un braccio.

E non batte un ciglio davanti al sangue..

Il cinema è bello per questo. In questa epoca drammatica fare film di azione e fantascienza è bellissimo, perché è tutto meravigliosamente finto e quindi rassicurante. Uccidere qualcuno senza torcergli un capello è un grande divertimento, come tornare bambini.

Ha dato sfogo ai suoi istinti.

Sì, e poi dovevano chiamare per forza me perché sono l’unico che ha il fisico per farlo. Gli altri sono bravi attori ma non proprio d’azione (ride).

E la figlia teenager da proteggere?

Ginevra Francesconi? Una sorpresa. Si è conquistata il ruolo con un provino in cui si è mangiata le altre candidate. È una ragazza di talento, più matura della sua età.

È un arricchimento lavorare con i giovani?

Sono più bravi di come eravamo noi. Hanno una naturalezza sorprendente. Noi avevamo una formazione più teatrale.

Nel film c’è uno scatto condiviso su Instagram che dà una svolta a tutto. Com’è il suo rapporto coi social?

Se ben usati sono molto utili. Li uso per promuovere il mio lavoro e per fare piccole battaglie sociali. Mi occupo di cambiamenti climatici e sono ambasciatore Unhcr. Ce la metto tutta.

E le foto? Le piace essere fotografato?

No. Il fatto è che a un attore viene insegnato di cercare di sembrare vero, reale. Quando fai le foto non hai il personaggio che ti protegge e quindi è strano: ti senti senza costume, nudo. E devi guardare in macchina, cosa che noi non facciamo mai.

Ha anche dei difetti?

Un sacco. Chi mi conosce sa che posso essere odioso. E faccio un sacco di c**ate. Ad esempio, insulto in macchina. Se sono prepotenti, o mi fanno un torto, insulto.

Nel 2023 sono 40 anni di attività. Bilancio?

Ho fatto un sacco di schifezze, di film mediocri. Poi di abbastanza buoni, che mi piacciono e di cui non mi vergogno. Quindi sono felice. E una persona fortunata: ho potuto vivere della mia passione. Il fatto di essere figlio di una grande star mi ha aiutato, perché tutti gli obiettivi raggiunti nella mia carriera sono sì importanti, ma ho visto cose ben più grandi.

Ha menzionato suo padre. Quando era un fumantino buttafuori fu lui a trovare il modo di calmarla.

Sì, è stato bravo. Quando venne a sapere che ero un aggressivo mi tolse il motorino e mi spedì a pugilato, sport che mi ha molto aiutato. Poi mi portò a lavorare in teatro come macchinista al minimo sindacale. Questo mi aiutò a trovare umiltà.

Ci dia tre ragioni per guardare Il mio nome è vendetta.

È un film d’azione fatto bene, puro intrattenimento, che tiene ‘appiccicato’ lo spettatore fino alla fine. C’è un signore di 57 anni che picchia come un fabbro ferraio. E un regista e una giovane attrice che vi sorprenderanno.

Allora grazie e arrivederci.

Se ha problemi con qualcuno chiami (ride). Vengo io e gli faccio una faccia come un’anguria.

Intervista di Chiara Piselli