Antonio Palumbo, tra San Nicola, cinema sociale e Mare fuori

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Antonio Palumbo

Antonio Palumbo, attore e soprattutto regista, fa parte di quella fucina di talenti che negli ultimi vent’anni ha prodotto il cinema pugliese, grazie al grande sforzo che la Apulia Film Commission ha profuso per far diventare la regione Puglia un polo d‘eccellenza nell’ambito dell’industria dell’audiovisivo italiana.

Antonio Palumbo, che vanta una candidatura ai Nastri d’argento per il miglior documentario nel 2017 con Varichina, la vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis, in seguito ha ottenuto un grande successo con un altro film tra fiction e documentario, una commedia on the road sulle tracce di Babbo Natale, o meglio di San Nikolaus, per un barese DOC come Palumbo San Nicola. Nicola. Cozze, Kebab & Coca Cola è un viaggio dalla Turchia agli Stati Uniti alla scoperta del mito del santo patrono del capoluogo pugliese, che non a caso verrò riproposto alla città il 7 dicembre, in occasione del lungo weekend dedicato al santo.

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A tutto questo affianca anche l’attività come docente di regia e organizzatore di rassegne. Il suo ultimo lavoro è un cortometraggio, Il vecchio e il muro, con protagonista Paolo Sassanelli, un piccolo film che sta dando grandi soddisfazioni. Ha infatti vinto alla fine di novembre il premio come miglior cortometraggio per tematiche sociali all’ Athvikvaruni International Film Festival in India, e poi è stato l’unico cortometraggio italiano selezionato all’International Media Festival di Sydney, dove correva nella categoria Tell Me a Story.

Il vecchio e il muro ha vinto anche il festival Tulipani di Seta Nera e Palumbo ha ritirato il premio durante un evento organizzato nel corso dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, dove lo avevamo incontrato per fare quattro piacevolissime chiacchiere.

Cominciamo dalla soddisfazione di essere a Venezia con Il vecchio e il muro, cortometraggio che parla però di temi importantissimi.

Sì, la tematica degli infortuni sul lavoro. È bello essere in questa festa del cinema dove ci sono tutti quelli più importanti, respirare per tre giorni l’aria del cinema che conta e del cinema d’autore, oltre a tutti gli ammennicoli che ci sono attorno, è una bella soddisfazione.

Com’è nato Il vecchio e il muro?

È stato promosso e commissionato dall’Inail, che voleva che attraverso il cinema raccontare una storia che facesse breccia non solo nei lavoratori o nei datori di lavoro, ma in tutti, perché alla fine siamo tutti soggetti al mondo del lavoro. Il film racconta la storia di un operaio della working class italiana, nel caso specifico di Bari, che lavora nei cantieri autostradali e che è abituato a non proteggersi dai raggi del sole.

Spesso non si pensa che la lunga esposizione ai raggi solari possa essere causa di infortuni sul lavoro. In realtà chi fa l’agricoltore, chi lavora nei cantieri, è facile rimanga all’aperto per otto, dieci ore e alla lunga i raggi UVA Ia possono provocare danni alla pelle. Questo aspetto degli infortuni della pelle non era mai stato trattato fino in fondo.

Anche questo ha fatto breccia nel cuore e nelle menti dell’INAIL che ci ha permesso di raccontare questa storia che ho scritto insieme a Fabio Fanelli e recitata alla grandissima da Paolo Sassanelli che fa questo Eminguei di periferia.

Ai festival sei in realtà avvezzo, da regista li hai frequentati e anche tanto.

Sì, devo dire che tutto è iniziato con il Biografilm, quando entrai in concorso con Varichina nel 2017. È sempre bello, perché ci si confronta con i colleghi, con i produttori, con i distributori e soprattutto c’è modo di vedere altri film, perché nell’arte non c’è mai competizione, soltanto opportunità di confronto e di crescita personale, quindi è sempre bello vedere bei film fatti da altri. Poi se insieme c’è anche un tuo film considerato bello, si è sempre più contenti.

Dopo Varichina, anche Nicola, cozze, kebab e Coca Cola ha avuto la sua importante circuitazione festivaliera, altro film a metà tra documentario e finzione. Ma quando arriverà il primo film di fiction?

Spero presto, finché ho la forza che sto diventando grande. Sono in sviluppo con un film con un giovane produttore pugliese, Claudio Esposito, che mi ha sottoposto un soggetto scritto da Giancarlo Liviano che ho trovato aderente al tipo di cinema che mi piace, una sorta di di Carnage che fa un po’ il verso a Las bestas e Brutti, sporchi e cattivi, una zona tra grottesco e black comedy che mi piace come cifra. Spero che questo progetto possa svilupparsi fino ad arrivare sul set e poi essere distribuito. E poi c’è un altro progetto, un nuovo film tra fiction e documentario su una storia molto forte, ma è ancora top secret.

Nel frattempo Antonio Palumbo continua a fare l’attore in serie molto popolari. Ti dà ancora soddisfazione recitare oppure il passaggio dietro la macchina da presa è l’unica cosa a cui pensi?

Ho la serenità di poter scegliere, quindi non facendo come attività principale l’attore se un progetto mi diverte lo faccio. È successo per Storia di una famiglia perbene, di Stefano Reali, che andrà in onda su Mediaset nel 2024. E poi c’è stato l’inaspettato successo dovuto alla mia partecipazione alla terza stagione di Mare fuori. Nonostante avessi un piccolo ruolo capita ancora che mi fermano per strada. Non mi fermano per i miei film ma per questa piccola cosa, fa parte del mestiere e prendo e porto a casa felicemente.